Jacob Riis nel 1870 emigra dalla Danimarca: destinazione Stati Uniti. Aveva venti anni, cercava un lavoro da carpentiere. Sarà ricordato, invece, per essere stato un grande reporter di cronaca giudiziaria e per il suo talento nella fotografia. Non a caso fu lo scopritore dell’uso del flash. Da questo connubio è nato un interessante testo sull’immigrazione: How The Other Half Lives (Così vive l’altra metà), lavoro pioneristico del fotogiornalismo.
LA MIA VERITÀ – La società italiana, rispetto ad altri Paesi europei come Germania, Francia e Inghilterra, è arrivata tardi all’appuntamento con l’immigrazione. E fa ancora fatica a colmare il divario. L’ Italia, purtroppo, si è sempre pensata monolitica dal punto di vista culturale e religioso. Ciò ha comportato una diffidenza verso le minoranze, in linea con la tendenza conformista italiana nell’isolare le minoranze politiche. Riusciremo ad accogliere serenamente lo straniero solo quando acquisiremo conoscenza della nostra identità: la colpa non è dell’Altro che viene a bussare alla nostra porta, ma è ascrivibile alla nostra debolezza culturale.
Il suo lavoro aveva un fine: documentare per agire. Ovvero portare a conoscenza dell’alta borghesia newyorchese le condizioni di pericolo e di indigenza che imperavano nei quartieri poveri degli immigrati poveri. Le baraccopoli erano la culla di ubriachi, di criminali, di comportamenti sgradevoli da parte di persone abbandonate dalla società. Italiani, irlandesi, ebrei messi ai margini. Ghettizzati. “In un solo isolato di caseggiati che totalizzava 132 stanze, vivevano 1.324 italiani emigrati, per lo più uomini, operai siciliani che dormivano in letti accastellati a più di dieci persone per camera, per un intero isolato”.
Attraverso statistiche, disegni, fotografie e descrizioni grafiche Riis fa emergere il sottobosco dell’East Side di Manhattan, sgradito all’alta società. Accusa i facoltosi della Grande Mela di essere apatici nei confronti di coloro che per qualcuno non esistono affatto. Riis sostiene che se i ricchi e i perbenisti venissero a conoscenza delle reali condizioni di vita dei poveri, sarebbero chiamati necessariamente e moralmente ad agire. Tuttavia, da bravo cronista bipartisan, Riis ha diviso i poveri in due categorie: meritevoli di assistenza (soprattutto donne e bambini) e immeritevoli (per lo più disoccupati e criminali).
Cronaca di altri tempi? Forse si, anche se in Italia, oggi, il ghetto non è tanto strutturale, in riferimento alle possibilità di alloggi (case, scuole, ospedali) fornite agli immigrati, quanto culturale. Oggi l’immigrato può permettersi una vita dignitosa. Ma fino a che punto può sentirsi uno di noi?