LIBRI/ Turchia. Storie ordinarie di resistenza #11

Tincalla_11Siamo giunti alla fine di Testimone a Gezi Park, il libro di Luca Tincalla di cui vi abbiamo proposto alcuni estratti nelle ultime dieci settimane. Combinazione vuole che la conclusione giunga proprio poco dopo le elezioni amministrative che si sono tenute in Turchia il 30 marzo scorso. Tra denunce di brogli e scontri, ne è uscito nuovamente vincitore il premier Recep Erdoğan e il suo partito AKP. Eppure, dopo lo scalpore destato dal blocco di Twitter, successivamente revocato, e di Youtube, dopo gli scandali in cui il premier turco pare essere coinvolto e, sopratutto, dopo la grande sollevazione che ha investito il Paese tra maggio e settembre del 2013, un cambiamento sembrava possibile. Ma è giusto parlare al passato e considerare morti i frutti che la rivolta a Gezi Park ha prodotto?

Come lo stesso Tincalla ci ha descritto nel suo libro, le proteste in Turchia hanno portato in piazza circa sette milioni di persone e ancora oggi sembrano non voler cessare. Ciò che è accaduto di recente, durante i funerali di Berkin Elvan, ne è la prova. Durante la campagna elettorale, il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu ha accusato il premier turco di essere un “dittatore”. Luca Tincalla lo definisce “un uomo che, sebbene alto come un marcantonio, ha lo spessore morale di un pelo dei suoi baffi”. Eppure  Recep Erdoğan il 30 marzo scorso ha salutato la folla e ha detto con fierezza: “Una nuova Turchia è nata oggi”. Come spiegarci dunque questa vittoria politica dopo tante, forse troppe, “storie ordinarie di resistenza”? Un opposizione debole e divisa è la risposta più facile ed immediata, ma forse c’è dell’altro. La realtà dei fatti ci mostra che la “presa di coscienza” rispetto alla volontà di cambiamento sia, in effetti, un processo molto lento. D’altra parte, anche il nostro “testimone”, prima di partecipare attivamente alla protesta di Gezi Park, ha dovuto letteralmente “sbattere il muso” contro i ragazzi che, a fine maggio 2013, avevano occupato piazza Taksim [da “Una colpevole innocenza”].

Uscendo dalla metro mi sono accorto che il parco di Gezi, un piccolo spazio verde a lato della grande piazza principale, era stato invaso da tende abusive. Ma cosa ci facevano ‘sti barboni proprio nel cuore (nel ventricolo) della città? Disturbato da questa sozzura che rovinava la mia innocenza primaverile, o almeno quel che ne restava, mi sono avvicinato con fare minaccioso a un essere che albergava nei pressi di un albero pericolante. A un albero pericolante, ho scritto. Già, a un albero pericolante. Ma una volta non ce n’erano a decine di alberi, qui? E mica erano pericolanti, stavano su belli dritti.

La forza d’inerzia innescata dal passo, comunque, ha portato la mia innocenza a sbattere contro la consapevolezza di quell’essere che, come dicevo, deturpava il paesaggio. E così sono finito a terra, sbattendo la testa. Forse sarà stata la botta…ma da quella prospettiva il parco aveva tutto un altro aspetto. Che cos’erano quelle ruspe, quei sacchi e quel cemento? L’essere, il barbone, a terra anche lui, mi ha detto che da lì a poco avrebbero costruito un centro commerciale. Un centro commerciale più moschea, per la precisione.
Devo dire che la mia innocenza laica di agnostico ne è rimasta profondamente turbata. Per non dire di quella del barbone, che aveva la barba sì, ma era un attivista; lui, insieme ad altri, stava nella tenda già da qualche giorno protestando contro l’abbattimento degli alberi nel parco. Ma com’era possibile? I media non dicevano nulla. “E che devono di’?”, mi ha detto l’attivista.

La seguente passeggiata nelle vie tortuose di Taksim si è rivelata una spina nel fianco per la mia innocenza che si era scordato prima di me e poi della primavera.
A casa ho cominciato a spippolare per i media. Niente. Nisba. Nix. E allora ho provato la risorsa ultima: mi sono abbandonato ai fuochi fatui dei social network. Ma altro che fuochi fatui: era una bomba! C’era, in effetti, la notizia di un gruppo di debosciati, quattro gatti, che con le loro tende volevano opporsi al nuovo piano (ir)regolatore del comune. Ma che fatica trovarla ‘sta notizia, eh.

Il giorno dopo sono tornato al sit-in, la mia innocenza ne voleva sapere di più o, se volete, l’assassino torna sempre sul luogo del delitto.
La tenda del mio “amico”, come quella delle altre, non c’era più; al loro posto, un piccolo comitato d’accoglienza organizzato dalla polizia municipale. Ma gli attivisti c’erano, solo che si erano spostati un po’ verso l’esterno del parco. Chissà, magari lì faceva più fresco; difatti la polizia, anche se non c’erano più alberi, li stava innaffiando dalla testa ai piedi con un idrante preso, pari pari, da un’autobotte lì vicino. “Anvedi che strane abitudini che c’hanno questi qui”, ho pensato, e sono andato a interloquire con un poliziotto sulle usanze locali. Purtroppo, devo ammettere, non è stata una buona idea. Perché a circa venti passi il poliziotto ha deciso di scegliermi come bersaglio. E la mia innocenza è tornata a casa con me bagnata.

Ma innocenza bagnata, innocenza fortunata, dicono. Ed è vero, per me. Perché a Sirri Sureyya Onder e ad Ahmet Şık, un deputato e un giornalista, è andata decisamente peggio; per non parlare di Ceyda Sungur, la “donna in rosso”, cui un poliziotto cerca di fare la permanente con un idrante, avete presente la foto?
Sono tornato a casa un’altra volta. Ho ri-spippolato su internet (…). Ma possibile che c’era una sommossa in corso e che io non ne sapevo niente? (…)

E così ieri sera, l’ultima sera del mese di maggio, sono andato a Taksim per nutrire e soddisfare la mia innocenza. Del resto la primavera se n’era già andata dagli arabi, a me che restava da fare, eh? Comunque Taksim non era raggiungibile, la fermata della metro era chiusa. I bus che portavano lì erano fermi. La piazza era stata transennata. Le strade erano bloccate. I poliziotti che il giorno prima ci avevano innaffiato, ora ci stavano dando anche da mangiare. Gas al peperoncino, per gradire. Ottimo se innaffiato con idranti di acqua naturalmente frizzante. Devo dire che portare gli occhialini da nuoto è stata una buona idea così potevo nuotare nel marasma di quest’attacco che la polizia ha compiuto in grande stile: in poco tempo sono finite le riserve sia di gas sia di acqua naturalmente frizzante, ma lo sapete.

Ho portato presto la mia innocenza (e le palle) fuori dal cuore della manifestazione, ma non mi sento un codardo. Sono a posto persino con la mia innocenza, perché penso di averla persa da qualche parte. In qualche strada. Sotto qualche carica. In un getto d’acqua come in un gas Orange. […] Non scrivete “sono tornati i Giovani Turchi”. Non sono solo giovani, non sono solo turchi. Sono un popolo in lotta. Punto.
Ora, per me, è tempo di agire e di scrivere. Affinché la mia testimonianza non si perda nella marea delle notizie non date. Affinché il coraggio di quel barbone non sia stato vano. Affinché la lotta di questo popolo abbia una voce. Perché ieri, signore e signori, in Turchia si è cominciata a scrivere una nuova pagina di storia, ma sta a voi leggerla o meno, oggi. E’ morto un albero, è nata una nazione.

 

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