Mentre in Egitto si vota per riformare la Costituzione, in Yemen si va in piazza, in Tunisia si attende un nuovo futuro e in Libia si schivano le bombe, cosa accade nell’universo femminile musulmano?
Tra i protagonisti delle rivolte in Medio Oriente ci sono anche le donne, alcune nascoste dietro il muro di casa o dietro un velo, altre unite alla folla. Non tutte scendono in piazza a chiedere libertà e giustizia, d’altronde i loro sono ‘diritti di lusso’, che vengono dopo. Ma molte si esprimono con manifestazioni di supporto, riproponendosi come motori di rinnovamento e democrazia non solo per loro stesse, ma per tutta la società a cui esse appartengono. A loro si è rivolta Anna Vanzan – islamologa e iranista, docente di Cultura islamica allo IULM di Milano e di Cultura Araba all’Università di Milano – nel suo libro Le donne di Allah, viaggio nei femminismi islamici.
Chi sono dunque le donne di Anna Vanzan? “Sono persone che credono che la religione musulmana non sia contraria alla loro emancipazione” spiega la studiosa. “Rileggono il Corano in chiave femminile e femminista e riscoprono il significato originale di quei versi (e hadith, i detti del Profeta) che sono stati manipolati dagli uomini nel corso della storia dell’Islam. Sono musulmane e femministe, per le quali il Corano è simbolo di libertà e di progresso. Vivono in Iran, Malesia, Indonesia, Turchia, Egitto e nei Balcani.
Nelle società islamiche le donne sono sempre state tenute lontano dalle scritture, l’istruzione religiosa veniva affidata agli uomini. Ma l’Islam non è la religione del “no” e queste donne vogliono spiegare il perché.
Sono organizzate in modi diversi: in grandi raggruppamenti che operano attraverso le ONG; in associazioni che si muovono in fase transnazionale attraverso internet; oppure in piccoli nuclei di pensatrici e teologhe, che non voglio abbandonare il loro credo e spesso non apprezzano essere bollate con il termine ‘femministe’, un prodotto d’importazione. Molte di loro collaborano con femminismi di tipo Occidentale, anche se questi sono diversi in quanto utilizzano un linguaggio privo di fede e spiritualità.
Le rappresentanti di quelli che sono stati definiti i femminismi islamici hanno la necessità di tornare al Corano, che deve essere letto in senso storico. Sono donne che si battono per il diritto di famiglia, che rivendicano la libertà di scelta di coprire o meno il capo (in Iran si lotta per scoprirlo, in Turchia per avere pari diritti anche se si indossa il velo), che lottano contro la violenza sulle donne (e i “delitti d’onore”). Sono Amina Wadud, un’afroamericana convertita all’Islam, che insegna all’Università di Kuala Lampur in Malaysia e ha fatto l’Imam in una moschea di New York, proponendo una rilettura del Corano secondo una prospettiva femminile; Asma Lamrabet, biologa e scrittrice marocchina, che coordina un gruppo di ricerca e di riflessione sulla donna musulmana e promuove il dialogo interculturale; Heba Raouf Ezzat, studiosa egiziana, impegnata in un movimento di liberazione della donna (e dell’intera società) e tante altre ancora.
Le donne di cui parla Anna Vanzan sono dunque coloro che promuovono il cambiamento, riscoprono la storia nascosta, rinnovano il loro rapporto con la religione di Maometto e sognano un Islam sempre più moderno.
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