Luoghi sacri condivisi, a Roma un pellegrinaggio fotografico nel Mediterraneo

1 Chrétienne éthiopienne en prière dans le Caveau des Patriarches © Pénicaud
Cristiana etiope in preghiera nella Grotta dei Patriarchi. Ph. M. Pénicaud ©

“Luoghi Sacri Condivisi” è un pellegrinaggio fotografico nel Mediterraneo, una mostra che concilia sacralità e condivisione annullando conflitti e differenze teologiche.

Sono molti i fedeli a pregare in luoghi che appartengono ad un’altra religione per domandare la grazia a figure sante comuni, come Abramo, Maria, San Giorgio, i Sette Dormienti, ..

Uno dei curatori  di “Luoghi Sacri Condivisi” è Dionigi Albera, a cui abbiamo chiesto l’origine di questo insolito progetto.
Prima di essere curatori della mostra, siamo antropologi e fotografi, come nel caso di Manoël Pénicaud, che insieme a me ne è l’ideatore. Questo progetto ha una storia abbastanza lunga: nasce da una serie di lavori di ricerca antropologici e storici sui luoghi sacri condivisi. È una corrente di studi che si è sviluppata negli anni Duemila con un approccio diverso alle tematiche religiose, concentrandosi sui luoghi di convergenza tra fedeli di religioni diverse.

E come siete arrivati alla mostra?
Su mia idea abbiamo provato a comunicare questi risultati ad un pubblico più ampio, usando come strumento di diffusione un evento che racchiudesse il frutto delle nostre ricerche. Abbiamo fatto un primo evento a Marsiglia, al Mucem (Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo, NdR); nel 2015 ci siamo poi spostati al Museo del Bardo di Tunisi, a Parigi al Musée National, poi a New York per arrivare, oggi, a L’École française de Rome. Questa di Roma è una parte della mostra, poichè gli spazi non consentivano di portare l’intero progetto. Le foto esposte sono quelle scattate da Manoël Pénicaud.

06 Femmes juive et musulmane priant côte à côte dans la Synagogue de la Ghriba
Due donne, una ebrea e una musulmana, pregano fianco a fianco nella sinagoga di El Ghriba

Quale l’obiettivo?
L’intento della mostra è quello di far capire che le religioni monoteiste non sono dei blocchi compatti ermeticamente chiusi, ma permettono delle forme di scambio. I protagonisti sono semplici fedeli. Si spingono al di là delle frontiere religiose per cercare qualcosa nella dimora sacra che appartiene ad un’altra religione. Possono essere musulmani che vanno in una chiesa o in una sinagoga e viceversa. È un fenomeno un po’ avvolto nella nebbia e noi abbiamo cercato di portare un soffio di vento per svelarlo e per mostrare che non sono “eccezioni particolari” legate alla configurazione locale di un luogo specifico, ma eventi che ritornano spesso nella storia. Li si ritrovano man mano che si svolgono i secoli, sin dal Medioevo, e si possono constatare anche adesso. Queste fotografie riguardano proprio fenomeeni contemporanei.

Al centro della mostra c’è il Mediterraneo. Perché?
Abbiamo cercato di mostrare un’immagine un po’ diversa del Mediterraneo: non solo luogo di frontiera, ma anche luogo di incontro. Ci siamo concentrati nella parte orientale perché in queste zone i fenomeni di condivisione sono stati storicamente più diffusi; anche questa è una visione che smentisce alcuni luoghi comuni. Nei secoli scorsi, le terre sotto il dominio dell’Islam erano più tolleranti (anche se non è il modello di tolleranza come lo intendiamo adesso). Esse erano, però, più aperte alla presenza di minoranze religiose rispetto a quanto accaduto nell’Europa occidentale. Il fatto che esistesse un caleidoscopio di gruppi religiosi ha, quindi, fatto sì che fosse molto più frequente l’incrociarsi e il sovrapporsi nei luoghi sacri.
Il Mediterraneo è un po’ l’unità di questo progetto, e sopratutto quello meridionale ed orientale: dai Balcani, passando per la Turchia, il vicino Oriente, l’Africa del nord, … Ci sono anche dei casi che riguardano l’Italia oppure la Francia; è un pò un periplo nel mare nostrum.

31 Paolo Dall'Oglio dans l'église du monastère de Mar Mûsa
Paolo Dall’Oglio nella chiesa del monastero di Mar Musa

In Italia dove troviamo esempi di questi incontri?
Sicuramente uno fra tutti è quello di Lampedusa. L’isola, dal XVI secolo, ma probabilmente anche già da prima, sino alla metà del XIX secolo, è stata un luogo di interazione interreligiosa tra il cristianesimo e l’islam. Questo perché l’isola era disabitata. È stata poi colonizzata dai Borboni solo negli anni Quaranta dell’Ottocento. Era quindi un luogo dove i marinai facevano scalo per rifornirsi di acqua, legna e cibo. In una piccola grotta vi era una parte consacrata al culto della Madonna e un’altra sacra per i musulmani, in quanto custodiva la tomba di un loro santo.

Lampedusa, quindi, grazie alla presenza di questo doppio santuario era un luogo di tregua e di interscambio tra nemici, nel senso che in questo territorio venivano lasciate delle offerte di vario tipo (cibo vestiti, tele, corde etc.) che potevano essere utilizzate solo dai naufraghi e dagli schiavi fuggiti in cerca di riparo sull’isola. Di questa storia di lungo periodo ci sono ancora testimonianze. È molto diverso dal ruolo che ha adesso come “porta d’Europa”: luogo di arrivo dei migranti che s’imbarcano dall’Africa del nord. Presente nella mostra anche il Libano, con il caso di Arissa, un sacrario vicino a Beirut dedicato alla Madonna. È frequentato anche da pellegrini musulmani sia sciiti sia sunniti. C’è una fotografia con due donne musulmane velate accanto alla statua della Vergine.

13 Icône de « Notre Dame qui fait tomber les murs » sur le Mur de séparation
Icona della “Madonna che abbatte i muri” dipinta sul muro di separazione

Come si compone l’esposizione?
La mostra è divisa in quattro sezioni. La prima parte si intitola “Santi e profeti”: i santi mediano tra i fedeli e Dio, che spesso è una figura un po’ lontana, difficile da raggiungere; ci sono alcuni casi di pellegrinaggi in santuari consacrati a dei santi che sono frequentati da fedeli di religioni diverse.
La seconda parte è “Maria la cristiana, Maria la musulmana” dedicata quindi alla figura della Madonna, forse la principale intermediaria che fa anche da ponte tra cristianesimo ed islam. Questo perché la Madonna ha un ruolo importante anche dal punto di vista teologico nella religione musulmana: è la figura femminile più santa riconosciuta dal Corano. Il suo nome ricorre più spesso nel Corano rispetto al nuovo testamento. Mentre tutte le altre donne vengono nominate come moglie di o figlia di o nipote di, lei è l’unica citata col suo nome. Maria è Mariam, e questo fa sì che moltissimi luoghi cristiani consacrati alla vergine attraggano anche fedeli musulmani, dalla Turchia, al Libano, all’Egitto.
La terza parte è dedicata alle architetture e quindi luoghi sacri che diventano una sorta di palinsesto. Nelle diverse epoche sono state moschee, riconvertite poi in chiese; un tempio pagano che poi diventa una chiesa, poi una moschea e poi, in un’altra epoca, torna ad essere una chiesa. E nella struttura stessa dell’edificio rimangono delle tracce di questo passato, così variegato. Ad esempio in Turchia o nell’isola di Creta o in Palestina, dove si vede quest’accumularsi di riferimenti simbolici. Sull’isola di Creta c’è una chiesa che in passato era stata una moschea; quando è stata convertita in chiesa hanno lasciato svettare accanto al campanile anche il minareto …

Avete dedicato una sezione – la quarta – anche a padre Dall’Oglio e a quelli come lui che si sono impegnati nel dialogo interreligioso …
Sì, l’ultima parte “Attori e Mediatori” si concentra su alcuni personaggi che operano per costruire un ponte, delle passerelle tra le religioni. Il resto della mostra illustra esempi che trattano di religiosità spontanea, che spinge persone comuni a recarsi in luoghi appartenenti ad una religione diversa per pregare una figura santa in cui si riconoscono. Nell’ultima parte, si vedono alcuni personaggi che, per una loro motivazione spirituale e per loro convinzione, operano per un avvicinamento. È questo il caso di un rabbino di Creta: ha restaurato una Sinagoga aperta anche a fedeli di altre religioni che la frequentano in modo regolare. Altro caso è quello appunto di Padre Dall’Oglio, che aveva creato un monastero in Siria e ne aveva fatto un luogo aperto anche ai musulmani, spingendosi molto nella conversazione interreligiosa con l’islam. C’è anche un video dove racconta che durante una messa le donne musulmane che avevano assistito alla funzione gli chiedono addirittura di ricevere anche la Comunione. Questo per ribadire il fatto che la fede deve avvicinare e non dividere.

Info: La mostra è visitabile all’interno degli spazi espositivi de l’École française de Rome nella sede di Piazza Navona. Aperta al pubblico fino al 19 gennaio (ingresso libero)

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