Su Chang.org sono state lanciate diverse petizioni a sostegno di Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, che da giorni è oggetto di attacchi da parte di esponenti della maggioranza del Consiglio Regionale del Piemonte, in particolare dall’assessore al Welfare Maurizio Marrone (FdI) e da Andrea Crippa, vicesegretario della Lega.
Il 19 settembre, 92 egittologi italiani e stranieri hanno sottoscritto una lettera aperta nella quale si manifesta pieno appoggio al lavoro di grande valore scientifico e manageriale fatto finora da Christian Greco e ci si chiede su quali basi esso venga così duramente criticato. Non si può dimenticare che si sta parlando di uno dei musei più importanti d’Italia – il secondo museo egizio al mondo dopo quello de Il Cairo – la cui immagine e il cui ruolo sono riconosciuti e apprezzati a livello internazionale, contribuendo a dare lustro all’Italia e alla città di Torino.
“Mi sembra una posizione estremamente miope”, ci dice il Prof. Paolo Branca, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e profondo conoscitore dell’Egitto.
“La passione per l’antico Egitto – continua – è un collante che può essere utilizzato, come avviene, anche nella scuola. Il fascino dei geroglifici e di questa civiltà è già un punto di partenza. Non dimentichiamo che l’Egitto è il Paese dove è cresciuto per sei secoli il primo cristianesimo; il monachesimo è nato lì. I grandi padri della Chiesa sono nati in Egitto, pensiamo a Sant’Agostino. Siamo diventati cristiani dopo che questi maestri del Cristianesimo sono venuti a predicare il Vangelo da noi. Altro esempio: San Zeno, il Santo patrono di Verona, che era egiziano.
E se restiamo in tema di patriottismo, l’essere riusciti in questi anni a far crescere il Museo grazie anche a promozioni come quella tanto criticata da alcuni esponenti della destra italiana dovrebbe essere un vanto.
Mettere sotto accusa tutto il mondo culturale e intellettuale potrebbe essere pericoloso. Da qualche tempo assistiamo ad una sorta di epurazione da parte di un certo ceto politico, una specie di lista di proscrizione con i nomi di figure publiche da rimuovere. È un atteggiamento pericoloso perché privilegia la superficialità della comunicazione mediatica all’approfondimento e al lavoro di ricerca di chi fa cultura sul serio. In questo modo si ridicolizza (non sono amanti della Patria?) l’immagine dell’Italia che ha molti difetti, ma che di cultura è sempre stata maestra”.