“Straniero” non è più solo chi viene da lontano, ma anche chi si sente alieno nella propria terra, in un’epoca in cui la globalizzazione ridefinisce i confini dell’identità. È in questa prospettiva che la Biennale d’Arte di Venezia, in programma fino al 24 novembre, ha scelto il tema “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, esplorando la fluidità dell’essere in un mondo frammentato da conflitti e divisioni.
Il filo conduttore di questa narrazione collettiva è l’estraneità, un tema scelto dal curatore sudamericano Adriano Pedrosa in un’epoca di crescenti tensioni geopolitiche. Alla 60ª edizione della Biennale, la riflessione sulla diversità emerge con forza in tutti i Padiglioni dei Giardini di Venezia, che abbiamo esplorato con attenzione. Dare voce a culture e identità storicamente marginalizzate non è solo l’obiettivo di questa esposizione, ma un dovere morale.
Camminando in quest’oasi che costeggia la laguna, ogni spazio espositivo appare come un microcosmo geopolitico, riflettendo le condizioni e le preoccupazioni dei Paesi rappresentati. Il Padiglione di Israele, ad esempio, rimane chiuso in segno di protesta contro la guerra con Hamas. Le curatrici hanno deciso di sottrarre un’esperienza artistica ai visitatori fino a quando non verrà raggiunto un accordo sugli ostaggi e un cessate il fuoco, amplificando così il messaggio di un’umanità lacerata.
Il Padiglione della Russia, assente per il secondo anno consecutivo, è stato sostituito da quello della Bolivia, un passaggio di testimone simbolico che condanna l’aggressione in Ucraina e dà visibilità a lotte storicamente ignorate. La mostra boliviana, con artisti indigeni e rappresentanti di altri Paesi latinoamericani, affronta temi di decolonizzazione e riscoperta delle radici culturali.
L’Ucraina, invece, mette in scena la resilienza del suo popolo con opere performative che evocano la sopravvivenza in un ambiente devastato. Nel Padiglione Polonia, i civili protagonisti di una video intervista imitano i suoni della guerra russo-ucraina, invitando i visitatori a fare lo stesso attraverso microfoni. Il Padiglione Germania offre un viaggio in una casa abbandonata, evocando un’atmosfera di profonda tristezza che ci spinge al cambiamento e alla ricerca di una guarigione collettiva. Il Padiglione Stati Uniti rende omaggio alle tribù native americane, emarginate nelle loro terre.
Uno dei temi ricorrenti nei vari padiglioni è la critica al colonialismo e alle sue eredità. Molte esposizioni affrontano come il colonialismo abbia trasformato intere popolazioni in “altri” da dominare e sfruttare. Ogni padiglione diventa così un frammento del complesso mosaico geopolitico attuale, dove l’arte non solo riflette le tensioni e i conflitti del nostro tempo, ma diventa un mezzo potente per sensibilizzare, provocare e, forse, avviare un dialogo costruttivo.
In questo viaggio tra narrazioni nazionali, la Biennale di Venezia dimostra quindi che l’arte è uno strumento potente per promuovere l’inclusione e superare il senso di alienazione che molti sperimentano. L’essere straniero diventa una condizione esistenziale, una sfida costante per affermare la propria identità in un mondo che spesso cerca di definirci attraverso stereotipi e pregiudizi. In un’epoca sempre più interconnessa, è fondamentale accettare la diversità e lavorare per un futuro più giusto e inclusivo.