A Gerusalemme Paola Caridi ha lasciato il cuore e la rabbia. La ragione l’ha portata sempre con sé, macinandola dentro, anche a costo di doverla fare pendere da qualche parte, lì dove qualche verità è scomoda. Così, tutto questo coacervo di conoscenze, vissuto e storie, da parte di una giornalista che per dieci anni ha fatto di Gerusalemme la sua casa e la casa della sua famiglia, è approdato anche a Milano, al teatro Menotti, nello spettacolo “Una notte al Cafè Jerusalem”, trasposizione in parole, teatro e musica di uno sguardo che accomuna Paola Caridi ai musicisti del gruppo italo-arabo Radiodervish (Nabil Salameh, Michele Lobocarro, Alessandro Pipino) .
La Gerusalemme del quotidiano, di una vita che si dipana, da una parte e dall’altra, con origini, vissuto e radici comuni tanto agli ebrei quanto ai palestinesi, ma che viene sistematicamente violentata dalla politica, dal settarismo e dall’interesse, anche economico, è resa in scena attraverso la concretezza metaforica del Caffè. Il luogo per eccellenza, in tutto il Mediterraneo, a partire dal Sud Italia, di socialità, condivisione, sperdimento, sogni, calcoli, amori, lettura del e nel futuro. Il luogo dove si racconta degli altri e ci si racconta e mette a nudo, al punto che nel Mashreq, e in Palestina in particolare, il cantastorie, il narratore, è colui che racconta nel caffè o davanti al caffè (qawali).
In questa rappresentazione della Caridi, Carla Peirolero e Pino Petruzzelli sono gli storyteller di una città che ha cambiato pelle nel Novecento seminando odio e innalzando muri. La Peirolero è Nura, la cristiana palestinese proprietaria del caffè che sta per chiudere, reso ormai inaccessibile dal muro, appena innalzato, che divide la zona israeliana della città santa dalla zona palestinese. E Petruzzelli è Moshe, l’ebreo israeliano emigrato e, fin da giovane amante di lei. Entrambi sono costretti a vivere l’amore e lo scandalo nell’ombra, prima; poi ad allontanarsi lentamente, come in un rallenty dolorosissimo, senza alcuna possibilità di usare la moviola.
Tra un monologo e un dialogo e l’altro, Café Jerusalem si fa concerto, con gli inserti dei Radiodervish che assumono vita propria, punti di svolta e trama sonora del dialogo teatrale, dove Nabil Salameh, palestinese ma non di nazionalità israeliana, frontman del gruppo, trascina la band in una lunga e sofferta dichiarazione d’amore per gli occhi dell’amata, Gerusalemme, che gli sarà concesso incrociare una sola volta nella vita reale.
Lo spettacolo milanese, arricchito dalla presenza dell’autrice e di un pubblico che lo attendeva da tempo, dopo il debutto al Petruzzelli di Genova esattamente un anno fa, ha avuto anche una nobile finalità: quella di supportare la onlus “Vento di terra” e i suoi dieci anni di impegno nei territori Palestinesi e nella Striscia di Gaza; e il tutto è stato possibile con il sostegno di Feltrinelli, editore dell’ultimo libro della Caridi, “Gerusalemme senza Dio”, e di QCode magazine che da mesi promuove un racconto corale sulla città di Gerusalemme, invitando i propri lettori nel suo “caffè” virtuale a raccontare una storia: vissuta, sofferta, amata o soltanto sognata nella città fatta santa da Dio e restituita dannata dagli uomini.