Tra bene e male a un anno dalla guerra in Ucraina. Le due vite di Vera Vigevani

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Un anno fa, cambiavano le nostre prospettive: il mondo si svegliava con i carri armati russi che invadevano l’Ucraina.
Era l’inizio di una guerra inaspettata, che ha sconvolto gli equilibri europei e mondiali. E non è finita. Si prospettano scenari ancora più cruenti e il resto del nostro pianeta non è messo meglio.

Gli interessi politici, economici, geopolitici prevalgono ormai su tutto; la sovrainformazione (infoxation) e le fake news che portano avanti invisibili propagande ci confondono. Sembra sempre più difficile capire da che parte stare.

Allineiamoci dalla parte del bene e non del male… [Vera Vigevani Jarach]

Così Vera Vigevani Jarach, attivista, giornalista, scrittrice e una delle Madri di Plaza de Mayo, ha introdotto il suo recente intervento presso la Biblioteca Chiesa Rossa di Milano, con la sua incredibile testimonianza di vita.

Nata nel capoluogo lombardo 95 anni fa, subì gli effetti delle leggi razziali fasciste che le impedirono di frequentare la scuola e che oggi ricorda come “Un trauma fortissimo”. Emigrò con la famiglia in Argentina, lasciando in Italia solo il nonno materno, Ettore Felice Camerino, che non se la sentiva di ricominciare da capo un’altra vita, convinto che la situazione non fosse tanto grave; sarà deportato e morirà nel campo di concentramento di Auschwitz.

In Argentina, Vera ricominciò una nuova vita, si sposò e lavorò come giornalista per l’Agenzia Ansa di Buenos Aires. Ma il 26 giugno 1976, un altro devastante dramma la segnò per sempre: all’età di diciotto anni sua figlia Franca scomparve all’improvviso e di lei non seppe più nulla fino a poco tempo fa, quando una donna le ha raccontato tutta la verità. Questa donna è una sopravvissuta al campo di concentramento dell’Esma, la scuola ufficiali della Marina militare argentina usata come centro di detenzione e tortura. È stata lei a raccontarle gli agghiaccianti dettagli di quei giorni di terrore: Franca fu sequestrata, drogata e, un mese dopo l’arresto, gettata da un aereo nel Rio de La Plata.
Nel 1978, in Argentina si giocavano i Mondiali di calcio, ma il mondo non voleva accorgersi di ciò che stava succedendo nel Paese. In molti chiusero semplicemente gli occhi.

Da allora, Vera Vigevani fa parte del movimento Madres de Plaza de Mayo ed è diventata una “militante della memoria”. La vista negli ultimi tempi si è fatta più debole, ma forte è rimasta la voglia di testimoniare e continuare a raccontare gli anni che ha vissuto intensamente e dolorosamente. Nelle cerimonie ufficiali indossa sempre un fazzoletto bianco in testa. “Non ci si deve stancare di raccontare”, insiste. “I giovani devono sapere”. Ed è per questo che ha deciso di parlare della sua storia anche con i ragazzi del Liceo Manzoni di Milano.

“Discriminazioni e razzismo esistono da sempre in Europa come in America Latina
, che sono terre di emigrazione. Il problema si pone quando, a seguito di grandi crisi sociali ed economiche, si cercano capri espiatori. È allora che quelle brutte storie possono diventare anche genocidi.
Anche quando l’accoglienza è stata discreta, non è detto che il vento non cambi. Tutto questo ai giovani deve essere raccontato, perché ne discutano e riflettano”.

”Mantenere alta la fiamma della giustizia e della memoria è come tenere alta la voce delle vittime delle dittature, ma anche di tutte le ingiustizie. È una luce di speranza per un futuro migliore.”

Oggi, Vera si dedica soprattutto al recupero della verità e al mantenimento di una memoria storica collettiva, che deve essere conosciuta per guidare l’umanità verso un futuro a cui Vera guarda con positività e speranza.
La vita di Vera è fatta di due storie tremende. Due storie che testimoniano come il male possa ripetersi, magari in forme diverse: i macellai nazisti ieri e i carnefici argentini dopo. “Con l’Olocausto si è voluto annientare un popolo, – spiega Vera – le squadracce di Videla hanno voluto cancellare una generazione”.

La vita di Vera Vigevani Jarach riporta a galla la crudeltà umana o “La banalità del male“, come recita un celebre libro della filosofa ebrea Hannah Arendt, la quale ha sempre cercato risposte alla domanda: “Qualcuno può fare del male senza essere malvagio?”.

Un anno fa, prima della guerra russo-ucraina, forse avremmo dato una risposta diversa rispetto a quella che daremmo oggi.

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