“Sto lavorando a questo progetto da diversi anni”, dice il fotografo Francesco Zizola, mentre cammina orgoglioso tra le sue opere in bianco e nero esposte a Sharjah, l’Emirato che confina con quello di Dubai, noto soprattutto per le numerose iniziative culturali volute da sua altezza Sultan bin Mohamed Al-Qasimi.
Zizola, fotografo e membro fondatore dell’agenzia Noor, spiega di essere stato chiamato a partecipare con il suo progetto Mare Omnis all’ultima edizione di Xposure, il festival internazionale dedicato alla fotografia che si è appena concluso.
Il progetto è una raccolta di trittici o singoli lavori incentrati sul legame tra uomo e natura, dedicato a tutti coloro che si avvicinano alla natura con rispetto e sacralità. L’artista ha voluto accostare immagini di pesci, che si muovono a banchi nell’acqua della Sardegna (The Trap II – Portoscuso), come a voler simboleggiare la vita, a mari estesi ripresi dall’alto, che, se ammirati da lontano, appaiono come grandi ecografie: la nascita, l’origine della vita.
Oggi, con l’industrializzazione della pesca ci allontaniamo dal concetto prezioso ed essenziale di sostenibilità. Si perde per sempre la consapevolezza del delicato equilibrio necessario per rendere possibile la vita in mare.
I temi dell’ambiente e della sostenibilità sono affrontati anche in altri padiglioni di Xposure.
Aaron Gekoski, fotogiornalista e documentarista, si è spinto nelle terre più inospitali per raccontare il legame conflittuale tra uomo e natura, in particolare quella costituita da animali, con un focus sullo sfruttamento e la crisi della fauna selvatica nel mondo. Animosity: human-wildlife conflict through the lens è una raccolta di immagini sul complesso rapporto tra uomo e fauna selvatica. Gekoski ha documentato la raccolta di pinne di squalo in Mozambico, l’estinzione degli orangotango in Borneo, i ratti anti-mina in Cambogia, il traffico di animali esotici, quello clandestino di tartarughe in Madagascar, l’abbattimento di foche in Namibia e altri temi di drammatica attualità. La sua vuole essere una denuncia alla caccia e al traffico illegale di animali selvatici. Fondatore di “Raise the Red Flag”, una campagna contro il turismo faunistico, Aaron è anche il promotore di una piattaforma dove i turisti possono denunciare abusi e violazioni.
Il rapporto conflittuale tra esseri umani è un altro dei grandi temi presenti nell’esposizione. Lo sguardo penetrante di un soldato della regione orientale dell’Ucraina e quello interdetto di una giovane studentessa di 13 anni di fronte ai mobili della sua scuola rasa al suolo conservati in un ripostiglio e sopravvissuti alla distruzione e al fuoco, fanno parte di On the margins of Europe 2014-2019. Il reportage è il crudo racconto di Dimitri Beliakov, che per cinque anni ha documentato la guerra del Donbass, combattuta non certo per gli interessi dei suoi abitanti, persone ordinarie. Il fotografo ha voluto lavorare con un approccio “out of the box”, narrando la realtà tragica di entrambe le sponde di una regione contesa, quella delle industrie dell’acciaio e del carbone. Da una parte c’è la zona controllata dall’Ucraina dell’ex provincia di Donetsk e dall’altra l’autoproclamata Repubblica separatista filorussa. Le immagini di Beliakov parlano da sole, mostrando con chiarezza la frustrazione e la sofferenza dei protagonisti di quest’area dimenticata dal mondo.
“Northern Uganda” è un altro progetto fotografico di grande impatto emotivo. L’autore, Brian Hodges, ha voluto raccontare un Paese che, dall’indipendenza nel 1962, è stato dominato da conflitti e violenze (in particolare l’insurrezione contro l’esercito di resistenza del Signore – Lord’s Resistance Army).
Circa due milioni di persone sono state confinate in insediamenti e decine di migliaia sono state rapite o uccise. Solo nel 2007, quando l’esercito di resistenza del Signore si è ritirato dal nord dell’Uganda, il Paese ha ritrovato un po’ di pace. A un decennio da questa tragica parentesi, l’Uganda è “ringiovanita” con una nuova generazione istruita che si spinge verso mestieri legati al commercio e all’agricoltura. Hodges ha voluto mostrare la capacità umana di emergere e reagire con resilienza al male e alla devastazione.
E dal male si può uscire vincenti, oppure si può anche restare in esso ingarbugliati. “Prisoners of war”, la serie di immagini toccanti di Mary F. Calvert, mostrano la disperazione di uomini delle forze armate statunitensi che hanno subito aggressioni sessuali da altri militari e non sono più capaci di ritrovare la pace e rimmergersi nella quotidianità. La fotografa ha scelto di affrontare questo tema a seguito della pubblicazione del Rapporto annuale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America sulle aggressioni sessuali e la prevenzione con un aumento del 38% in soli due anni, dal 2016 al 2018. Il reportage in bianco e nero mostra la disperazione di un uomo accasciato a terra in un supermercato, dopo aver sentito il profumo di un prodotto che l’ha riportato indietro nel tempo, quando, nella doccia, veniva abusato. La solitudine circondata dallo squallore sono presenti nel ritratto di un uomo davanti al computer: vive in una stanza sporca e buia, tra i cartoni vuoti di birra raccolti sotto il tavolo, un materasso buttato sul pavimento e secchi di plastica sparpagliati nella stanza per raccogliere probabili perdite di acqua; la luce di una giornata luminosa resta fuori dalla stanza e si intravede oltre la tenda abbassata. Intrappolati in uno stato di isolamento, paranoia e profondo dolore, le vittime di MST (Military Sexual Trauma) abusano di droghe e alcol. Solo il 30% denuncia le aggressioni.
La violenza non ha confini e lascia profonde cicatrici, anche e soprattutto sui bambini. “Hijacked education” è il progetto di Diego Ibarra Sánchez, fotografo documentarista con base in Libano. Oggi, secondo l’Unicef, uno su quattro bambini vive in un Paese in guerra. Durante i conflitti, gli attacchi alle scuole sono sempre più frequenti e la vita di questi giovani viene completamente stravolta: oltre a non avere un’assistenza medica adeguata, i bambini sono costretti ad interrompere gli studi con gravi conseguenze sul loro futuro. Oggi, circa 264 milioni di bambini nel mondo non ha la possibilità di andare a scuola o di completare gli studi a causa di discriminazioni, povertà, guerre, emergenze e disastri ambientali dovuti ai cambiamenti climatici.
Questo reportage, ancora in corso, ritrae la vita di giovani ragazzi che vivono in Paesi in guerra come il Pakistan, la Siria, l’Iraq, il Libano, ma anche l’Ucraina e la Colombia. Nel campo profughi siriano in Zahle (Siria), la lavagna della scuola è fuori dalle tende circondata dalla neve. Le temperature rigide e la carenza di indumenti caldi sono ulteriori preoccupazioni per la salute dei giovani profughi. In Iraq, lo Stato Islamico ha bruciato migliaia di libri e manoscritti della biblioteca storica di Mosul e occupato l’università, una delle più note istituzioni nel Medio Oriente.
A lens on Syria sono le immagini del fotografo russo Sergey Ponomarev sulla guerra in Siria che, con una nitidezza singolare, raccontano luoghi, persone ed atmosfere. Sono state scattate tra il 2013 a il 2014. Tra le immagini esposte, Prisoners richiama l’attenzione. È il ritratto di cinque ribelli catturati dalle forze di sicurezza siriane e detenuti nella prigione di Damasco con l’accusa di fabbricazione di materiale esplosivo.
L’immagine è pulita, geometrica e drammatica allo stesso tempo come un dipinto metafisico di Giorgio de Chirico, dove predomina l’immobilità più assoluta. Gli uomini bendati restano in piedi in un angolo, sono a testa bassa di fronte ad un muro. Osservandoli, sentiamo il silenzio che li avvolge e l’angoscia.
Anche le mani ferite del dodicenne Darwood Salim, ricoverato al reparto emergenza presso il Surgical Hospital di Erbil, nel nord dell’Iraq, trasmettono angoscia, ma anche speranza. Quelle dita che si alzano in segno di vittoria mentre gli cambiano le bende, fanno parte della serie “Legacy of war” del fotografo e scrittore inglese Giles Duley, un progetto sull’impatto umanitario a lungo termine della guerra.
Speranza – ma anche paura – si leggono inoltre nelle immagini scattate in Afghanistan dalla fotogiornalista americana Paula Bronstein. Tra esse c’è anche il bellissimo ritratto di Najiba, una giovane donna che sorregge la nipote di due anni, ferita da una bomba che ha ucciso la sorella a Kabul, il 26 marzo del 2016. Najiba doveva occuparsi della bambina mentre la madre della piccola seppelliva la figlia. Il ritratto di questa donna con bambina fa parte del progetto Afghanistan: between hope and fear.
Natura e uomo con l’aggiunta di interessi economici sono presenti nelle fotografie in bianco e nero di Robin Hammond, che ha scelto di ritrarre immagini di corruzione, disuguaglianze e violenze nel delta del Niger. Nella città di Eket c’è ufficialmente un ospedale psichiatrico che, però, ha l’aria di essere a tutti gli effetti una prigione, dove i diritti umani sono stati messi da parte. Qui, i “pazienti”, tra cui anche bambini, vivono sui pavimenti fetidi di stanze buie. Molti di loro sono incatenati come animali e restano immobili, come rassegnati, a guardare il vuoto, quello che circonda le loro misere vite.
L’industria petrolifera, che ha attirato miliardi di dollari di investimenti stranieri nel Paese, ha avuto conseguenze disastrose nel Delta del Niger dove il petrolio viene estratto.
Il conflitto sembra inevitabile all’interno delle relazioni umane, sia inteso come risorsa per il cambiamento, sia come forza distruttiva. Lo stesso filosofo greco Eraclito lo analizzò scrivendo che la guerra “rivela la divinità degli dei e l’umanità degli uomini”.
La natura conflittuale degli esseri umani è messa a fuoco da molti professionisti presenti a Xposure. Ma altri, come l’americano Elia Locardi con Moods of Italy prediligono la bellezza dei paesaggi italiani all’ostilità. La macchina fotografica di Anthony Lamb sceglie, invece, l’essenzialità. Le sue sono, infatti, immagini minimaliste dove il tempismo è l’elemento fondamentale per la riuscita del progetto “Escapes”. Lamb, fotografo d’arte che vive tra Londra e Dubai, elimina tutti gli elementi di disturbo e usa lunghe esposizioni per ritrarre oggetti singoli, come una struttura che sorregge due altalene sospese sull’acqua durante la bassa marea (Sea Swings II): l’acqua poteva diventare l’elemento di disturbo che avrebbe fatto muovere le altalene durante una esposizione di due minuti, correndo il rischio di apparire sfuocate. In Changed Prospectives, invece, l’attenzione è rivolta ad un tratto di costa dell’Inghilterra: la fascia bianca in primo piano, che assomiglia ad uno strato di nebbia, sono enormi onde che si infrangono in una giornata invernale sul muro di un porticciolo.
I fotografi di Emirates Falcons Photography Society – entrati a far parte nel 2015 di Union of Arab Photographers e riconosciuti due anni dopo anche dal ministero dello Sviluppo comunitario degli Emirati Arabi Uniti – hanno invece lavorato sul progetto “Life without color”: con ritratti, paesaggi e momenti della vita quotidiana su uno sfondo bianco e nero per contribuire a diffondere la cultura della fotografia nel Paese e mostrare che l’armonia tra uomo e nature può essere possibile.