ISTANBUL – Con 18 milioni di abitanti e un dedalo si strade che intrecciano la storia i millenni la gloria gli intrighi e il futuro, a Istanbul la dimensione multi e interculturale è presente nel rapportarsi quotidiano prima ancora che nella consapevolezza culturale.”Questa città raccoglie tutti, viviamo tutti insieme – turchi, stranieri, animali” è commento tranquillo, anzi sorridente, di tanti stambulioti.
A differenza di quanto succede in altri Paesi pure di alto retaggio storico, qui è rimasto vivo il senso del grande passato: quell’impero ottomano che per cinque secoli fu immenso, multiculturale, multilinguistico, strutturato sul concetto di comunità, inclusivo di vari popoli e alieno a qualsiasi distinzione su base etnica.
Studi di arte e grafica a Istanbul e a Hannover, una way of life naturalmente cosmopolita, atteggiamento affabile e vigile, abitudine a documentare ogni affermazione (forse per una forma, obiettivamente piuttosto rara, di rispetto verso l’interlocutore), Beste Gursu, gallerista d’arte, ha respirato i suoi valori in famiglia prima che sui libri. Figlia di Kamil Durust, scrittore calligrafo pittore musicologo, dal 1914 quando lui morì gestisce la sua biblioteca di oltre ventimila libri, collezioni di spartiti di musica classica fra cui un album interamente dedicato al 1600, diecimila volumi del 1700 dei quali numerosi sulla storia degli ottomani, parecchi trattati sull’arte contemporanea e tradizionale. Un paio di anni prima, lo stesso Kamil aveva fondato, con altri intellettuali del suo livello, la Istanbul Interculturale Art Dialogues Association (IKASD, che adesso fa capo alla figlia) per proporre, con un taglio artistico e culturale, progetti di carattere sociale. Ikasd agisce nell’ambito della Art & Life Gallery Project – Production Company, nel 1997 creata da Beste quale Servizio di consulenza agli artisti turchi e stranieri per produzioni internazionali multidisciplinari.
Filo conduttore della vostra attività?
“Il dialogo interculturale, gli scambi: in Turchia proponiamo progetti con artisti turchi e culture straniere, all’estero presentiamo progetti con artisti e culture turche. Finora, abbiamo lavorato con più di 300 artisti, cittadini di oltre 30 Paesi; tra essi, due talenti importanti, il Primo ministro dell’Albania Edi Rama e il pittore italiano Luigi Ballarin. Per coinvolgere un pubblico più largo possibile, preferiamo agire in spazi pubblici come musei e centri culturali, dove confluiscono generazioni e persone diverse“.
Citiamo qualche progetto?
“Premesso che per me sono come i figli…nessuno è preferito, ricorderei nel 2013/14 la panoramica di arte contemporanea ‘I have a story‘ che in Bosnia, Serbia, Montenegro, Kosovo, Macedonia e Albania presentò le storie di famiglia di quindici artisti turchi, e, nel 2015/18 il tour mondiale ‘16th Century Genus Matrakc Nasu Project‘, che partì da Sarajevo per illustrate in tre continenti e dieci Paesi la nostra arte tradizionale e moderna. Rassegna affiancata da un documentario, conferenze di accademici, un libro e un album di musiche. Tuttora riceviamo inviti da parecchie parti del mondo”.
Tendenze specialmente interessanti nell’arte turca di oggi?
“Noi proveniamo da una cultura molto ricca e variegata….Durante l’impero ottomano, data l’importanza attribuita all’arte e agli artisti, la nostra arte tradizionale raggiunse il livello massimo. Successivamente, l’avvento della repubblica modificò la filosofia di vita, il modo di pensare, la visione del mondo, e questo ovviamente si riverberò sull’arte. Il processo di sviluppo dell’arte è infinito, ma nel 21esimo secolo mi pare diventato più veloce: oggi, direi che in Turchia si affiancano tendenze globali, rivisitazioni, opere moderne ispirate alle arti classiche”.
Progetti per l’immediato?
“In corso fino a giugno, al Museo di arte turca e islamica, Artplatform Ramart. Pensata e realizzata nell’ambito del nostro discorso generale incentrato sulla Turchia multi e interculturale, la rassegna verrà ripresa ogni anno durante il Ramadan: ventidue i Paesi di origine dei novantanove artisti presenti, tradizionali e/o contemporanei. Tra essi Luigi Ballarin, del quale organizzeremo una mostra a Doha nel 2020, nel quadro del dialogo di recente avviato anche con il Qatar”.
Perché la scelta del dialogo, dello scambio, come cifra della vostra attività?
“Alla prova dei fatti, questo approccio fertilizza non soltanto le arti, ma l’umanità e la vita. Ovunque e da sempre, gli esseri umani si sono evoluti scambiandosi esperienze, studi, curiosità, ricerche, nozioni, emozioni: in una parole, se e quando le rispettive culture hanno accettato di reciprocamente contaminarsi. Gli artisti per primi confermano, in ogni settore, la fecondità della dimensione multi e interculturale. Oggi, nonostante la tecnologia abbia spalancato il mondo, la vita di troppi continua a svolgersi all’interno di confini nazionali, come dentro un cerchio. Dobbiamo rompere questa specie di assedio, uscire per le strade del mondo. A quel punto potremo finalmente allargare le nostre prospettive, visioni, orizzonti; sarà il primo stadio per diventare cittadini del mondo”.
Lei non ha idea di quanto io sia d’accordo. Cosa vuol dire, cittadini del mondo?
“Vuol dire considerare le diversità come elemento utile all’arricchimento comune di tutti piuttosto che pericolosa minaccia per le identità dei singoli, e dunque vivere in una struttura dove tutti si rispettino e interagiscano. In definitiva, significa aprirsi alla pace: per questo la cultura dovrebbe essere tra le prime voci nei bilanci nazionali”.