MILANO – “In caso di aggressione – nel 70% dei casi compiuta da un uomo della famiglia o comunque ben conosciuto dalla vittima – bisogna prima di tutto avvertire chi ci minaccia delle conseguenze pesanti, anche sul piano penale, che dal suo comportamento gli deriveranno; dobbiamo comunicare questo messaggio in modo fermo e inequivocabile, con l’atteggiamento, la mimica, le parole, la gestualità. Se e quando questo tentativo di dissuasione però fallisce, è necessario saperci difendere conoscendo e utilizzando movimenti automatici tecnicamente efficaci”, spiega Diana Nardacchione. Medico specialista in Anestesiologia e Rianimazione e in Psicologia-Indirizzo Medico, diploma di perfezionamento in tecniche sanitarie di Protezione Civile, cintura nera di judo, istruttrice di ju jitsu e di soft boxe, Diana dirige da molti anni i corsi di autodifesa femminile per la provincia di Monza e Brianza; ha anche pubblicato libri in materia.
Cosa intendi per movimenti automatici tecnicamente efficaci?
“Sono riflessi atavici di auto protezione e liberazione, che scattano in pochi decimi di secondo: meccanismi istintuali sollecitati da strutture cerebrali e funzioni che accomunano gli umani contemporanei e i vertebrati più primitivi come gli squali, i pesci, i rettili. Le risposte della mente cosciente infatti sembrano troppo lente per garantire la sopravvivenza individuale.
Fra i popoli mediterranei, le nomadi, le contadine, le donne in generale hanno fin dalla notte dei tempi dovuto difendersi personalmente (gli uomini cominciarono a proteggerci soltanto dopo l’avvento delle città murate) inforcando asce, brandendo forconi, divincolandosi, invocando aiuto. Per essere realmente efficaci però, quei movimenti vanno eseguiti in modo corretto”
Cioè?
“Devi imparare tecnicamente quali modi per schivare o deviare o bloccare lui se tenta di colpirti con un pugno, quali modi per liberarti con determinati movimenti se lui ti afferra magari per un polso; praticando la palestra puoi diventare capace di buttare giù anche uno ben più alto e grosso di te.
Teniamo presente che l’autodifesa femminile non mira a tramortire l’aggressore bensì a neutralizzarlo, acquisendo la capacità di autoproteggerci e smentendo così la nostra presunta vulnerabilità. Dal punto di vista psicologico medico, definirei anzi i corsi come una terapia di gruppo finalizzata specialmente ad abbattere questo luogo comune”
Perché ci si esercita solamente fra donne? Non sarebbe più utile misurarci con qualcuno fisicamente più forte, proprio un uomo?
“No. i movimenti per sottrarti o liberarti dalla presa sono esattamente i medesimi indipendentemente da chi ti aggredisce e dalla sua potenza. Di più: tra femmine ci si tratta, si combatte, si gioca assolutamente alla pari, mentre un maschio che si esercitasse con te sarebbe in qualche modo compiacente nei tuoi riguardi”
La sequenza delle reazioni?
“E’ quella classica, a suo tempo definita dagli etologi che studiavano i comportamenti primordiali dei primati non umani; in termini inglesi si usa sintetizzarla in Freeze, Flight, Fight.
Di fronte al pericolo, in un primo momento l’animale si raggela e si immobilizza, sperando di non essere stato visto o che l’aggressore, comunque, finisca per rivolgersi a un’altra vittima; se questo espediente istintivo si dimostra inutile, scatta fulminea la fuga per allontanarsi al massimo e più in fretta possibile; se neppure questa via di salvezza sembra praticabile, l’animale si appresta alla difesa e affronta il pericolo. Fra noi umani, qualcuno mette pure in atto un altro comportamento istintivo irrazionale, ma spesso efficace, come fingersi morto, o anche fingere di svenire, o urinarsi addosso, o vomitare, o simulare convulsioni. (C’è un precedente che in Italia tutti conosciamo: nel massacro del Circeo, 1975, una delle vittime – Donatella Colasanti – riuscì a sopravvivere proprio fingendo di essere morta. ndr)”
Quanto durano i corsi di autodifesa?
“Da pochi mesi fino a cinque anni, dipende dai programmi e dalle finalità. In fase avanzata si possono prevedere anche combattimenti reali fra donne di medesima corporatura ed esperienza, naturalmente con una modalità ludica e non competitiva”.
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Mi propongo come istruttore.