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REPORTAGE/ Corea del Nord. Il ricordo di Kim Jong-Il in un viaggio insolito

Nella piccola libreria di Pyongyang, appoggiato su uno scaffale, c’è un volume verde in lingua inglese dal titolo The Leadership Philosophy of Kim Jong Il, una raccolta delle teorie del “Caro Leader”, il grande uomo della Corea del Nord – nonché segretario del partito dei lavoratori, capo della commissione militare e dell’esercito – scomparso il 17 dicembre scorso.  Le sue erano teorie applicate alla vita di tutti i giorni, attraverso principi che, fino a qualche giorno fa, regolavano la sfera politica, economica, morale, militare, diplomatica, ma anche artistica e culturale. Che ne sarà della Repubblica Democratica Popolare di Corea senza di lui?

Per Kim Jong Il l’idea di Juche, tramandata dal padre Kim Il Sung, era alla base di tutto: il ruolo dell’uomo, unico arbitro del proprio destino, è solenne; il valore di ogni essere umano non è definito da elementi materiali, ma dalle sue idee, dal livello e dal contenuto della sua consapevolezza ideologica, nonché dal ruolo che ricopre nella società. Per Kim Jong Il “nulla è impossibile quando ci sono uomini con idee progressive”.

Una poltrona di pelle sintetica e una donna minuta dai modi gentili accolgono i rari visitatori in un spazio colmo di libri perfettamente posizionati sui ripiani di legno. Appoggiato su una mensola, si intravede il volumetto rosso The Civil Law of the Democratic People’s Republic of Korea: 271 articoli che regolano il Paese. Pensando al nostro fitto codice civile e ai suoi oltre 3.000 articoli, ci domandiamo: chi è più libero e chi più tutelato?

Accanto alle pubblicazioni, molte delle quali sarebbe difficile trovare in qualsiasi altra libreria del mondo, c’è una targhetta con incise le parole del padre di Kim Il Sing, il “Grande Leader”: “Il libro è un maestro silenzioso, oltre che un compagno nella vita. I giovani dovrebbero portarli con sé in ogni occasione e leggere i testi più prestigiosi con estremo zelo”.

Ma sfogliando questi libri non è facile trovare una chiave di lettura e capire come funzionano le cose da queste parti. Bisogna spingersi oltre le mura della libreria, dentro un Paese che, dal 17 dicembre scorso, sarà guidato da un altro Kim. Sarà forse lui l’uomo dalle idee progressive? Non sappiamo quello che diventerà la Corea del Nord dopo la morte del Caro Leader, ma l’abbiamo visitata prima della sua scomparsa e così ce la ricordiamo.

Cellulari, computer e qualsiasi altro collegamento con il resto del mondo sono proibiti in Corea del Nord, dove gli stranieri hanno l’obbligo di muoversi solo con guide (o spie) locali. Pyongyang è silenziosa e la popolazione è quasi invisibile. Gli edifici lungo le ampie strade sono alti e pieni di finestre, che, dal basso, sembrano occhi indagatori che controllano ogni piccolo movimento. L’atmosfera è suggestiva, inquietante ed imprevedibile allo stesso tempo. Palazzi, statue gigantesche, cartelli di propaganda impongono ai nuovi arrivati come noi l’immagine dei vecchi leader. Presto, accanto ai due Kim, ce ne sarà un terzo: Kim Jong Un.

Teatro di Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Tower of the Juche Idea, Pyongyang. Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Mansudae Grand Monument, Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Dipinti di propaganda, Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Operai al lavoro nelle strade di Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Parate militari in Piazza Kim Il Sung. Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Parate militari in Piazza Kim Il Sung. Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Parate militari in Piazza Kim Il Sung. Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Revolutionary Martyrs Centery. Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Metropolitana a Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Tower of the Juche Idea, Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Revolutionary Martyrs Centery. Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Revolutionary Martyrs Centery. Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Istituto di ricamo di Pyongyang, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Poster di propaganda, Mansudae Arts Complex. Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Kaesong, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Kaesong, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
38esimo parallelo. Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
International Friendship Exhibition, Myohyangsan. Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Pranzo nei pressi della Tomba di King Kongmin. Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Wonsan, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Sijung, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
West Sea Barrage, Corea del Nord. Ph. Silvia Dogliani
Parate militari in Piazza Kim Il Sung. Ph. Silvia Dogliani
Teatro di Pyongyang. Ph. Silvia Dogliani
Description

Alcuni operai ricostruiscono il marciapiede in previsione di una delle tante parate militari che solitamente partono dalla piazza principale. Accanto agli uomini che indossano un elmetto protettivo, una piccola orchestra inizia a suonare. A dirigerla è una donna, che, con un megafono, urla frasi incomprensibili. “Questi musicisti suonano per loro,” ci spiega la guida, riferendosi ai lavoratori. “La donna chiede agli operai di lavorare più duramente e la musica ha lo scopo di scuotere gli animi ”. E’ difficile entrare in sintonia con ciò che in questo Paese sembra essere la normalità di tutti i giorni.

Nella Piazza Kim Il Sung (Pyongyang) la gente si esercita per la prossima parata militare. Oltre a uomini e donne, ci sono anche molti bambini. Segni e codici sono stati accuratamente disegnati sul pavimento di pietra. Ogni partecipante ha una postazione, un ruolo e una missione: come spinti da un impulso, si muovono, perfettamente coordinati, da un punto preciso della piazza ad un altro; poi, il suono di un fischietto li obbliga a tornare nella postazione originale. Il tempo non è scandito dalle lancette di un orologio, ma da un fischio prolungato, l’unico in grado di fermarli ogni sera al tramonto.

Il parcheggio dell’hotel è vuoto. Nella hall dell’albergo una tartaruga gigantesca si muove con difficoltà dentro un acquario minuscolo. Mentre ai suoi occhi il mondo appare piccolissimo, ai nostri tutto sembra immensamente grande: spazi vuoti e silenziosi, lunghi corridoi inquietanti, come quelli di Kubrick nel film Shining. La televisione in camera trasmette non stop i discorsi del “Caro” e del “Grande” leader sui due canali nazionali. Le tappe del viaggio che ci attende sono il risultato di una lunga trattativa con le guide, che decidono di assecondare alcune delle nostre richieste e di concederci pochi ‘fuoriprogramma’, o così almeno vogliono farci credere.

“Questo Paese è una macchina di altissima precisione, che funziona in perfetta autonomia”, racconta un funzionario di un’organizzazione internazionale per le sicurezza alimentare che opera anche in Corea del Nord. “Per me è stata certamente la missione più difficile”, ha detto, chiedendoci di mantenere il suo anonimato. “Ogni giorno dovevo trattare con un ufficiale governativo ed un interprete, e dopo alcune settimane iniziavo a dubitare chi fosse chi”. Era scioccato dalla loro straordinaria capacità di persuasione, con la quale, solo dopo pochi giorni, non riusciva più a convivere. Aveva un’idea chiarissima sul Paese: “In Corea del Nord nulla è lasciato al caso!”. Quando viveva a Pyongyang, era abituato al suono delle sirene che annunciavano le esercitazioni preventive in caso di guerra. “La loro capacità organizzativa è semplicemente unica. Non ho mai visto nulla di simile in nessun altra parte del mondo”.

Ordine ed organizzazione sono effettivamente ovunque in  questo strano Paese: nelle esercitazioni, nelle parate militari, negli spettacoli ginnici dei bambini a teatro o semplicemente al ristorante, dove anche chi apparecchia la tavola riceve compiti precisi. Anche fuori dalla capitale tutto è perfettamente organizzato: la campagna e i paesaggi nei pressi della Reunification Highway sono impeccabili; non si trovano muli che trasportano carri, né galline che svolazzano lungo i sentieri e neppure bambini che giocano sul ciglio della strada. Di tanto in tanto si vede solo qualche anima solitaria, che cammina senza meta. L’aria è pulita, le strade sono vuote, il traffico inesistente. Il silenzio ci accompagna lungo tutto il viaggio.

A catturare il nostro sguardo sono sei grandi colonne di pietra, tre lungo ciascun lato della strada. E’ proprio vero: “nulla è lasciato al caso”! “Quei pilastri rappresentano la donna coreana, l’unica in grado di prendersi cura dei suoi figli” spiega una delle guide. Non soddisfatti della risposta, gli chiediamo ulteriori chiarimenti. La guida sorride di fronte al nostro disappunto. “Chi più di una madre protegge i suoi bambini o la sua terra dai nemici?” – e continua – “In caso di attacchi esterni, quelle sei colonne laggiù possono essere abbattute per rallentare il nemico”.

Siamo diretti verso il 38° parallelo, il confine più impenetrabile del mondo, la linea di demarcazione che segnò la fine del conflitto tra il Sud e il Nord della penisola. Nel 1953 la Corea del Nord e gli Stati Uniti firmarono l’armistizio che pose fine a tre anni di guerra. Si chiama ‘Demilitarized Zone’ (DMZ), anche se tutto sembra, tranne che un’area demilitarizzata. Gli ufficiali nordcoreani stanno in piedi di fronte ai connazionali del sud e a quelli americani, ciascuno nel suo piccolo metro quadrato di spazio. Non vola una mosca. E subito ci rendiamo subito conto di essere finiti dentro una pagina di storia.

Più a nord, sul mare del Giappone, una giovane fotografa coreana cammina con la sua Polaroid sulla spiaggia di Sijung in cerca di qualcuno da ritrarre. Non sono molte le famiglie nordcoreane a godersi una vacanza al mare: due donne che indossano costumi interi giocano nell’acqua mentre una ragazzina nuota con un salvagente, sotto lo sguardo attento dei genitori. Nonostante siano tutti concentrati nelle loro attività, ci studiano curiosi. Consapevoli di trovarci in una delle mete della ‘lista fuoriprogramma’, dobbiamo “evitare i contatti con la popolazione”, così ci avevano detto le nostre guide dal primo giorno.

Nei pressi di Nampo, vicino alla grande diga West Sea Barrage, c’è una base militare dove vivono alte cariche del partito. Ci dicono che è stata trasformata in un albergo di lusso, anche se abbiamo seri dubbi a riguardo. Si accede solo da un unico ingresso, dove un militare armato controlla i documenti. Le camere sono enormi, un po’ eccentriche, maniacalmente ordinate. Tra i comfort c’è anche una grande vasca da bagno con acqua termale. In un’altra villa, sempre all’interno della base, si trovano il ristorante e la sala ricreativa. Solo due tavoli del vasto ristorante sono apparecchiati. Gli altri sono coperti da tovaglie bianche, perfettamente stirate ed inamidate. Piccoli piatti colmi di cibo ci attendono senza camerieri, scomparsi in qualche angolo della cucina al momento del nostro arrivo.

Torniamo nella capitale. Il percorso per raggiungere l’albergo è lo stesso che abbiamo fatto all’andatae. Svanisce qulla classica sensazione di sentirsi smarriti in una città che si conosce appena. Ed e ecco, che, come per incanto, riconosciamo la porta di vetro della piccola libreria. Decidiamo di visitarla ancora. Ad attirare la nostra attenzione questa volta non sono i libri, ma i meravigliosi poster dipinti a mano che raffigurano immagini di propaganda. Lo sguardo di un soldato, mentre punta il suo fucile, ci ricorda un famoso dipinto di Francisco Goya, esposto al Museo del Prado di Madrid.

Ecco ancora The Leadership Philosophy of Kim Jong Il. Lo apriamo a pagina 20: “Il destino del popolo può entrare nel sentiero del successo solo se il popolo stesso possiede un leader eminente, che gioca un ruolo decisivo nel movimento di trasformazione”. A chi si riferiva Kim Jong Il? A sè stesso o a suo figlio Kim Jong Un? La sua era dunque una filosofia basata sulla presunzione oppure una vera e propria predizione?


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