“Non una musica che accompagni la pittura, ma che da essa sia generata”, dice subito il pittore Attilio Taverna, raccontando dei software particolari che in questo periodo, a Padova – città pioniera per gli studi di elettroacustica – stanno sperimentando la trasposizione delle sue composizioni visive in speculari strutture sonore.
Comuni denominatori esistono, e importanti. Intanto, in questi quadri il particolare modo di articolare le sezioni spaziali, riprenderle, organizzarle in simmetrie e dissimmetrie richiama i principi strutturali e compositivi della musica.
Poi, spiega l’artista, “la musica è costruita su sette segni che convenzionalmente definiti note si caratterizzano per astratta essenzialità e radicalità visiva. Di ognuna la forma testimonia e costituisce la rispettiva natura intima, il cuore, l’identità; rimanda cioè a quel nucleo interno, intimo, invisibile che in ogni cosa esiste e senza il quale nessuna avrebbe significato. Platone aveva intuito questo concetto e lo aveva proposto con il nome di eidos; su di esso poggiano le basi del nostro modo di pensare. Non vive forse di questi stessi segni l’oggetto matematico? Del resto, che altro faceva Bach? Non soltanto, lo stesso Platone intuì pure che i pianeti e le stelle suonano, e che i suoni sono un’eco della musica delle sfere”.
Attilio Taverna si inserisce nel filone dell’astrazione geometrico-matematica-platonica, che fa capo essenzialmente al neoplasticismo di Mondrian, via via evoluto alle estreme conseguenze: “Il reale risponde soltanto alla forma fisico-matematica – afferma – culture etnie tradizioni rimangono estranee. La bomba atomica è un’equazione; Google, un algoritmo.
Almeno altrettanto importante per la sua arte è la Grecia classica, specie per la concezione di Forma. “I Greci pensavano che la Terra accogliesse la totalità degli enti visibili – continua – e che la Geometria fosse in grado di misurare le infinite forme nonché di individuarne, per deduzione, le correlazioni. Sono le fondamenta di quella che diventerà la Logica occidentale. Ma per le matematiche già Aristotele scriveva che la Mezzaluna fertile era culla, e per secoli l’Egitto fu tappa d’obbligo dei grandi pensatori Greci. Tanti secoli dopo, nell’Islam essendo la divinità irrappresentabile per definizione, filosofi e intellettuali musulmani si votarono agli studi della geometria e della matematica greca. Così sul finire del primo millennio (quando noi europei facevamo i conti con l’abaco) essi produssero scoperte come l’algoritmo, l’algebra ed anche le basi geometriche della prospettiva lineare.
Negli anni ’70, Attilio Taverna approfondì tutta una serie di ricerche visive collegate alla percezione. Fu il primo (o comunque tra i primissimi) a parlare di “trasparenza percettiva”, proponendo nei suoi quadri un insieme di inedite suggestioni che rimandano ai “princìpi della metafisica della luce elaborati dalla spiritualità dei Sufi. Coniugati in orizzonti vertiginosi, spazio e tempo anticipano alcuni sconvolgenti interrogativi che ci pone oggi la fisica quantistica”.