Si può utilizzare la parola “dibattito” senza prevedere un contraddittorio per appurare la verità?
È accaduto a Milano, il 6 giugno, nella prestigiosa cornice del Teatro Franco Parenti. Doveva essere una conferenza democratica su un tema molto caldo: “La verità sul conflitto israelo-palestinese“. Doveva esserlo, ma invece di un confronto aperto e pluralista, ciò a cui ho assistito è stato un semplice racconto sordo e cieco, un puro esercizio di propaganda sionista. Tre oratori hanno trasformato un’occasione di dialogo in un monologo unilaterale, spegnendo ogni possibilità di confronto reale.
Con la pretesa di raccontarci “La verità sul conflitto israelo-palestinese”, la conferenza organizzata da Andrée Ruth Shammah e dal Comitato Setteottobre, dà spazio agli interventi di Eylon Levy, ex portavoce del governo israeliano, Rawan Osman, fondatrice di Arabs Ask e Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch, definiti dagli organizzatori dell’evento “combattenti che lottano per confutare l’enorme quantità di bugie che in questi mesi hanno descritto la guerra”.
Dopo il controllo dei documenti e la spunta su un elenco di nomi per confermare l’identità dei presenti, riusciamo ad entrare. La sala è al completo quando le luci si abbassano e Andrée Ruth Shammah guadagna il palcoscenico per introdurre la serata: “Il Parenti è aperto a tutti – tiene subito a sottolineare – anche a chi fosse critico verso Israele, purché vengano portate idee e non provocazioni”. Un ottimo incipit, senza dubbio, peccato però che alla fine del programma nessuno abbia potuto dire una sola parola.
Gli interventi successivi, tutti in lingua inglese, tradotti molto approssimativamente dall’intelligenza artificiale, sono proiettati in forma di sottotitoli su un grande schermo alle spalle degli oratori. Il primo contributo è quello di Hillel Neuer, che subito parla dei 1200 innocenti barbaramente uccisi da Hamas e di come molti leader mondiali tra i quali Joe Biden e Rashi Sunak si siano subito schierati dalla parte di Israele. Altri come il Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, hanno condannato l’accaduto, ma senza quello slancio pro Israele che ci si sarebbe aspettati. Di più, Guterres ha avuto il coraggio di dire che niente accade senza che ci siano delle ragioni pregresse: quale oltraggio.
Neuer incalza affermando che quello che dovremmo chiederci è quali scuole abbiano frequentato i 3mila terroristi che hanno invaso Israele il 7 ottobre scorso, perché è proprio da lì che bisogna partire. Ed eccola la risposta tanto attesa: il 90% di queste persone ha frequentato le scuole gestite da UNRWA. Un assist perfetto per iniziare un monologo contro l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, tacciata di coprire i terroristi di Hamas e di aver indottrinato per decenni gli studenti delle Università, grazie ai soldi che proprio l’Occidente continua a donare loro. Quegli stessi soldi che – prosegue Neuer – i palestinesi avrebbero potuto usare per costruire infrastrutture, per fare di quella striscia di terra una nuova Dubai, e che invece il popolo seguace di Hamas ha scelto di utilizzare per scavare tunnel sotterranei attraverso i quali tessere le trame per la distruzione dello Stato di Israele e di tutti gli ebrei. Gli ospedali, le moschee, le scuole, le università che sono state bombardate in tutti questi mesi, evidentemente, agli occhi del direttore di UN Watch, non contano nulla.
Non viene fatto nemmeno alcun accenno al desiderio di Israele di avere un accesso al mare e alla spiaggia di Gaza, nessun commento sulla pressione effettuata dai coloni israeliani in tal senso, come più volte affermato dalla loro portavoce, Daniella Weiss, nei suoi deliranti video. Nemmeno una parola sugli enormi giacimenti di gas scoperti al largo della Striscia, niente.
Ma visto che le invettive contro l’UNRWA non sembrano sufficienti a screditare chi non appoggia tout court lo Stato ebraico, ecco che Neuer punta di nuovo il suo indice accusatorio. E questa volta il suo bersaglio è Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi dal 2022, rea di aver documentato la puntuale e continua distruzione perpetrata da Israele a danno dei suoi vicini di casa. Nei successivi dieci minuti Albanese viene criticata, derisa, accusata e infamata senza alcuna possibilità di controbattere – non essendo stata invitata a partecipare a un democratico e civile confronto – con il solo intento di azzerare la sua credibilità.
Segue l’intervento di Rawan Osman: un concentrato di luoghi comuni e banalità che la relatrice ha avuto la necessità di leggere dal monitor del suo computer, quasi ci fosse bisogno di una traccia scritta per ripercorrere la propria vita. Attivista per la pace tra gli arabi mediorientali e gli israeliani, da piccola le hanno insegnato che odiare gli ebrei è cosa buona e giusta. Solo dopo, quando si è trasferita in Europa, è riuscita a maturare una visione del “nemico” diversa da quella che le era stata inculcata in Medio Oriente.
Davanti al pubblico del Parenti però, la determinata paladina del democratico Stato ebraico, si dimentica di menzionare le atrocità che quotidianamente vediamo accadere in Palestina. Osman non lancia alcun appello perché le parti instaurino un dialogo, unica soluzione pacifica per mettere fine a questo annoso e sanguinoso conflitto. Lei preferisce – invece – dipingere il mondo arabo come succube di una narrazione di parte, senza rendersi conto di come posizioni simili stiano portando in Occidente un crescente sentimento islamofobo che, a differenza dell’antisemitismo, non sembra smuovere l’indignazione né la coscienza di nessuno.
Veniamo ora all’ultimo ospite, Eylon Levy, scaricato dal governo israeliano per le falsità sugli aiuti umanitari a Gaza in risposta a un commento di Lord Cameron su X (e non per essere troppo di sinistra, come affermato da Shammah sul Corriere della Sera il 7 giugno 2024, nell’articolo “Dibattito sul Medio Oriente, ma il Franco Parenti è blindato“).
Anche di fronte alla platea milanese, Levy non si smentisce e infila una menzogna dopo l’altra, raccontando come a Gaza nessuno muoia di fame e di come il cibo arrivi in abbondanza grazie all’esercito migliore e più morale del mondo, un esercito super attento alla precisione delle sue operazioni militari e che limita al minimo i danni ai civili. Evidentemente, le immagini agghiaccianti dei coloni che calpestano le scatole di aiuti umanitari sotto gli occhi impassibili dei soldati, quelle dei bambini di Gaza ridotti pelle e ossa o dei civili colpiti dalle bombe israeliane, non sono arrivate all’ex portavoce del governo israeliano. Anche sul numero di morti Levy prende le distanze dai dati forniti da una “certa stampa” e, tiene a precisare, che “UN, Medici senza Frontiere, Save the Children, UE si sbagliano: i morti sono molti meno”. Quanti precisamente non lo sa. Sicuramente, però, molti meno.
Per due ore assistiamo all’apologia del massacro in corso in Palestina, ascoltando una sola voce volta a eliminare ogni possibile dubbio nei presenti rispetto alla giustezza di una guerra che va portata a termine. Certo, la guerra è un affare orribile, certo in guerra muoiono anche gli innocenti, ma non c’è altra via, sono stati i palestinesi di Hamas a sceglierla, l’hanno fatto il 7 di ottobre del 2023 e noi non dobbiamo minimamente sentirci in colpa per il fatto che Israele sia ricorso al proprio sacrosanto diritto alla difesa.
Il pubblico tira un sospiro di sollievo, è vero, sono stati uccisi 15mila bambini, ma siamo pur sempre dalla parte del giusto. Lo stiamo facendo per proteggere la sola democrazia presente in Medio Oriente, anzi, è proprio quell’unica democrazia che sta facendo qualcosa per tutti noi, fermando l’avanzata del terrorismo islamico, per evitare che diventi una realtà anche in Europa. Guai a chiunque pronunci la parola apartheid per riferirsi alle condizioni di vita dei palestinesi che vivono nei territori occupati. Guai a dubitare della bontà del governo israeliano, che lotta anche per la libertà di tutti noi. Ma soprattutto guai a parlare di genocidio, quasi quella parola fosse a uso esclusivo del popolo ebraico per definire il proprio sterminio negli anni ’40 del secolo scorso.
Il problema sono dunque le parole e non i fatti atroci di cui siamo spettatori impotenti tutti i giorni da otto mesi. Il problema sono le parole e non il futuro di un popolo di cui sembra importare a ben pochi.
Ho sperato fino alla fine che il teatro, da sempre luogo di dialogo, interazione e contaminazione di pensieri diversi, diventasse un palcoscenico più equo, dove idee e identità differenti, come ha dichiarato Shammah all’inizio della serata, trovassero il modo di dialogare. Avrei voluto sentire anche le parole di chi, tra gli ebrei (israeliani e non), critica il governo Netanyahu, e assiste impotente nel vedere il proprio Paese impegnato in una guerra in cui non si riconosce e in cui non riconosce nemmeno i principi ebraici con i quali è cresciuto.
Il legittimo diritto alla difesa cui Israele si è giustamente appellato il giorno seguente all’attacco subìto, sta vacillando: troppi morti, troppi bambini, troppi civili, troppe ritorsioni, troppi danni, troppo grossi per essere considerati casuali e proporzionati. La retorica sionista scricchiola e lo fa in modo udibile a tutti. Come si può pensare che questo massacro possa essere dimenticato dal mondo e da chi lo sta subendo? Come si può chiedere a un popolo oppresso da decenni di non far ricorso allo stesso diritto di difendersi a cui ha fatto appello Israele? Come risponderà a queste persone stremate la comunità internazionale?
Eppure, invece di intavolare una discussione aperta a tutti per provare a ragionare collettivamente su questioni così delicate e importanti, i nostri speakers ci hanno sommerso con una potente e ben confezionata propaganda per farci credere che non solo Israele sta agendo nell’interesse dell’Occidente, ma che gli israeliani sono le sole vittime di una guerra che non hanno voluto, ma che certamente hanno intenzione di continuare a combattere e vincere, costi quel che costi.
Il rammarico e l’avvilimento che ancora provo pensando alla conferenza del 6 giugno, sono indirizzati agli organizzatori di questo evento, che hanno codardamente scelto di rappresentare una realtà parziale e faziosa, così fastidiosamente di parte da risultare quasi patetica.
Il pubblico del Parenti meritava di non essere trattato alla stregua degli “utili idioti” di cui una democrazia non dovrebbe aver bisogno per garantire la propria sopravvivenza. La verità, in queste due ore di imbonimento, non ha trovato alcuno spazio. Nessuno squarcio nel buio, nessun dubbio. Una sola campana, invece, quella della propaganda più sfrontata, senza “se” e senza “ma”.
A tutti quelli che hanno ottusamente applaudito, chiedo come facciano a dormire la notte, sapendo che da quando è iniziata la guerra circa sessanta bambini sono morti ogni giorno. Domando loro come possano giustificare il costante tentativo di Israele di controllare il proprio popolo attraverso la paura e la minaccia che un nuovo sterminio sia sempre in agguato. In questo modo “la sola democrazia del Medio Oriente” si prende cura del suo popolo, imprigionandolo nel proprio trauma, nei propri incubi e nelle proprie paure più profonde, senza permettergli di superarli per farne qualcosa di universale perché quello che è accaduto agli ebrei con la Shoah non debba mai più accadere. A nessuno.
The article in English:
Missed Debate: When “The Truth About the Israeli-Palestinian Conflict” Is Not the Truth
by Denise Bonenti, 7 June 2024
Can the word “debate” be used without a counterpoint to ascertain the truth?
This happened in Milan on 6 June, in the prestigious setting of the Franco Parenti Theatre. It was supposed to be a democratic conference on a very hot topic: “The Truth About the Israeli-Palestinian Conflict”. It was supposed to be, but instead of an open and pluralistic discussion, what I witnessed was a simple, deaf, and blind narrative, a pure exercise in Zionist propaganda. Three speakers turned an opportunity for dialogue into a unilateral monologue, extinguishing any possibility of real debate.
Under the guise of telling us “The Truth About the Israeli-Palestinian Conflict,” the conference organized by Andrée Ruth Shammah and the Comitato Setteottobre featured interventions by Eylon Levy, the former spokesman for the Israeli government, Rawan Osman, founder of Arabs Ask, and Hillel Neuer, executive director of UN Watch, described by the event organizers as “fighters striving to refute the enormous amount of lies that have described the war in recent months.”
After document checks and ticking off names to confirm the identity of attendees, we managed to enter. The hall is packed when the lights dim and Andrée Ruth Shammah takes the stage to introduce the evening: “The Parenti is open to everyone,” she immediately emphasizes, “even to those who might be critical of Israel, as long as ideas and not provocations are brought forward.” An excellent start, without a doubt, but unfortunately, by the end of the program, no one was able to say a single word.
The subsequent speeches, all in English and roughly translated by artificial intelligence, are projected in the form of subtitles on a large screen behind the speakers. The first contribution is from Hillel Neuer, who immediately speaks about the 1,200 innocents barbarically killed by Hamas and how many world leaders, including Joe Biden and Rishi Sunak, immediately sided with Israel. Others, like UN Secretary-General Antonio Guterres, condemned the incident but without the pro-Israel fervor that might have been expected. Moreover, Guterres had the audacity to say that nothing happens without underlying reasons: what an outrage.
Neuer presses on, stating that what we should be asking is which schools the 3,000 terrorists who invaded Israel on 7 October last attended, because that is where we need to start. And here is the much-awaited answer: 90% of these individuals attended schools run by UNRWA. A perfect lead-in to begin a monologue against the United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees, accused of covering for Hamas terrorists and indoctrinating students for decades, thanks to the money that the West continues to donate to them. Those same funds that—Neuer continues—the Palestinians could have used to build infrastructure, to turn that strip of land into a new Dubai, but instead the people following Hamas chose to dig underground tunnels through which to weave plots for the destruction of the State of Israel and all Jews. Hospitals, mosques, schools, and universities that have been bombed in recent months, evidently, in the eyes of the UN Watch director, do not matter at all.
No mention is made of Israel’s desire to have access to the sea and Gaza’s beach, and no comment on the pressure exerted by Israeli settlers in this regard, as repeatedly stated by their spokesperson, Daniella Weiss, in her delusional videos. Not a word about the vast gas fields discovered off the coast of the Strip, nothing.
But since the invectives against UNRWA do not seem enough to discredit those who do not fully support the Jewish state, Neuer once again points his accusing finger. This time, his target is Francesca Albanese, UN special rapporteur on Palestinian territories since 2022, guilty of documenting Israel’s systematic and continuous destruction to the detriment of its neighbors. In the following ten minutes, Albanese is criticized, ridiculed, accused, and defamed without any chance to counter—having not been invited to participate in a democratic and civil confrontation—with the sole aim of nullifying her credibility.
Next is Rawan Osman’s speech: a concentration of clichés and banalities that the speaker felt the need to read from her computer monitor as if she needed a written script to retrace her own life. An activist for peace between Middle Eastern Arabs and Israelis, she was taught as a child that hating Jews is good and right. Only later, when she moved to Europe, did she manage to develop a different view of the “enemy” than the one instilled in her in the Middle East.
Before the Parenti audience, however, the determined champion of the democratic Jewish state forgets to mention the atrocities we see happening daily in Palestine. Osman does not make any appeal for the parties to engage in dialogue, the only peaceful solution to end this long-standing and bloody conflict. She prefers—instead—to paint the Arab world as a victim of a biased narrative, without realizing how similar positions are bringing a growing Islamophobic sentiment to the West, which, unlike anti-Semitism, does not seem to stir anyone’s indignation or conscience.
Now let’s move on to the last guest, Eylon Levy, dismissed by the Israeli government for falsehoods about humanitarian aid to Gaza in response to a comment by Lord Cameron on X (and not for being too left-wing, as Shammah claimed in the Corriere della Sera on 7 June 2024, in the article “Debate on the Middle East, but Franco Parenti is Locked Down”).
Even in front of the Milan audience, Levy does not disappoint and strings together one lie after another, telling how in Gaza no one is starving and how food arrives in abundance thanks to the best and most moral army in the world, an army super attentive to the precision of its military operations and that limits damage to civilians to a minimum. Evidently, the harrowing images of settlers trampling on aid boxes under the impassive eyes of soldiers, those of Gaza’s children reduced to skin and bones, or civilians hit by Israeli bombs, have not reached the former Israeli government spokesperson. Even on the number of deaths, Levy distances himself from the data provided by “certain press” and, he emphasizes, “UN, Doctors Without Borders, Save the Children, EU are wrong: the dead are many fewer.” Exactly how many, he does not know. Certainly, though, many fewer.
For two hours we witnessed an apology for the ongoing massacre in Palestine, listening to a single voice aimed at eliminating any possible doubt among the audience about the righteousness of a war that must be completed. Sure, war is a terrible affair, and sure in war innocent people also die, but there is no other way, it was the Hamas Palestinians who chose it, they did so on 7 October 2023, and we should not feel the slightest guilt for Israel’s resort to its sacred right to self-defense.
The audience breathes a sigh of relief, it’s true, that 15,000 children have been killed, but we are still on the side of the righteous. We are doing it to protect the only democracy in the Middle East, indeed, it is precisely that only democracy that is doing something for all of us, stopping the advance of Islamic terrorism, to prevent it from becoming a reality in Europe as well. Woe to anyone who utters the word apartheid to refer to the living conditions of Palestinians in the occupied territories. Woe to those who doubt the goodness of the Israeli government, which is also fighting for the freedom of all of us. But above all, woe to those who speak of genocide, as if that word were exclusively for the Jewish people to define their extermination in the 1940s.
The problem, therefore, is words and not the atrocious facts that we are helplessly witnessing every day for eight months. The problem is words and not the future of people who seem to matter to very few.
I hoped until the end that the theatre, always a place of dialogue, interaction, and contamination of different thoughts, would become a more equitable stage, where different ideas and identities, as Shammah declared at the beginning of the evening, would find a way to dialogue. I would have liked to hear also the words of those, among Jews (Israelis and not), who criticize the Netanyahu government and helplessly watch their country engaged in a war in which they do not recognize themselves and do not recognize the Jewish principles with which they grew up.
The legitimate right to defence that Israel rightly appealed to the day after the attack suffered is wavering: too many deaths, too many children, too many civilians, too many retaliations, too much damage, too big to be considered accidental and proportionate. The Zionist rhetoric is creaking and it does so audibly to everyone. How can we think that this massacre can be forgotten by the world and by those who are suffering it? How can we ask oppressed people for decades not to resort to the same right to defend themselves to which Israel has appealed? How will the international community respond to these exhausted people?
Yet, instead of opening a discussion for everyone to try to collectively reason on such delicate and important issues, our speakers have overwhelmed us with powerful and well-packaged propaganda to make us believe that not only is Israel acting in the interest of the West, but that Israelis are the only victims of a war they did not want, but certainly intend to continue fighting and winning, no matter the cost.
The regret and dismay I still feel thinking about the conference on
6 June is directed at the organizers of this event, who cowardly chose to represent a partial and biased reality, so annoyingly one-sided as to be almost pathetic.
The Parenti audience deserved not to be treated like the “useful idiots” that a democracy should not need to guarantee its survival. The truth, in these two hours of sweet-talking, found no space. No glimmer in the dark, no doubt. Only one bell ringing, that of the most blatant propaganda, without “ifs” and “buts”.
To all those who stubbornly applauded, I ask how they manage to sleep at night, knowing that since the war began about sixty children have died every day. I ask them how they can justify Israel’s constant attempt to control its people through fear and the threat that a new extermination is always looming. In this way, “the only democracy in the Middle East” takes care of its people, imprisoning them in their trauma, nightmares, and deepest fears, without allowing them to overcome them to make something universal so that what happened to the Jews with the Shoah never happens again. To anyone.