Egitto: il primo amore non si scorda mai

 

 

Ancora una volta in Egitto, mia seconda patria adottiva… casuale? naturale? provvidenziale? Dio solo lo sa. Ma chi si domanda troppo il perché di quanto accade, rischia di smarrirsi nelle sue ipotesi e perdere il contatto col reale.
È così e basta (e avanza), come vedrete se avrete la cortesia e la pazienza di leggere queste brevi pagine di diario. Il recente (e spero non ultimo, inshallah) soggiorno tra gennaio e febbraio scorsi mi ha ancora una volta travolto, sedotto, incantato. Che posso dire in anticipo? La terra che diede rifugio al Messia figlio di Maria (come lo chiamano qui) secondo me ha ottenuto in cambio una inesauribile scorta di umanità, ospitalità unita al chiasso e alla folla da cui Gesù faticava a sottrarsi. Chi sarei io per aver meno o di più? Salam!

L’attesa. Il Cairo, Egitto. Ph. Silvia Dogliani

Il Cairo, Ummu d-dùnya – “Madre del mondo”. Gli egiziani, e non da ieri, chiamano così il loro Paese e in particolare la sua capitale: Il Cairo.
Non è forse mai sato più vero di oggi. Con le varie città satelliti che cercano invano di decongestionarla, la sua area metropolitana sfiora forse i 30 milioni di abitanti. Mezza Italia, poco meno di un terzo del totale dei cittadini dell’intera Valle del Nilo.

Fra i più vasti tra i 22 Paesi della Lega Araba, primo per popolazione, l’Egitto vanta millenni di civilizzazioni: dalla faraonica alla tolemaica in epoca ellenista, dalla copta alla musulmana, per tacere della nubiana, strettamente legata all’area sudanese. Salvo qualche ampia oasi e molte città costiere sul Mar Rosso e sul Mediterraneo, da sempre vive principalmente sulle sponde del secondo fiume più lungo del mondo e nell’immensa area del suo delta.

Egitto. Ph. Silvia Dogliani

Paese di contadini (fellahìn) dunque, antico granaio del Mare Nostrum, di obelischi, mummie e piramidi, dei primi monaci eremiti e cenobiti, delle innumerevoli moschee i cui minareti lanciano cinque volte al giorno il richiamo alla preghiera. Ma, più di recente, anche teatro di una delle più note campagne militari di Bonaparte, del Canale di Suez per la cui inaugurazione Giuseppe Verdi compose l’Aida, di folte comunità greche (non a caso ‘tavolo s’i dice tarabèza, da trapeza) e italiane, che hanno contribuito alla sua architettura in stile liberty, ai primi passi del cinema locale, a scavi archeologici e ai primi corsi universitari di concezione moderna. Non si può dimenticare la lunga serie di prestiti linguistici sorprendenti: ‘guanti’, ‘fatura’, ‘gelati’, talvolta un po’ storpiati dalla pronuncia locale come ‘balacona’ (balcone), ‘gurnal’ (giornale) e persino rubabicchia (robavecchia, cioè rigattiere), ormai irriconoscibile nelle grida “bikkia, bikkia!” lanciate per le strade dai conduttori di carretti a pedali o trainati da un mulo.

Un fior di loto caro alla simbologia locale da tempi immemori, “dono del Nilo” come ognun sa dalla definizione di Erodoto (V sec. a. C.).

I suoi figli costituiscono un terzo del totale degli arabofoni e la loro parlata è giustamente la più compresa fra tutte, non tanto per la sua pur imponente produzione letteraria in arabo classico, quanto per i film e gli sceneggiati televisivi che ne sono stati a lungo il principale mezzo di diffusione (prima che nascessero le tv satellitari del Golfo). Un po’ come è successo al romanesco e al napoletano dalle nostre parti.

Trafficata, inquinata, rumorosa, il che vuol dire anche straripante di umanità ospitale. È anche amante delle battute, patria d’infinite barzellette e proverbi in cui si condensa la saggezza popolare, coloratissima e chiassosa come il cortile di una scuola immensa all’ora della ricreazione.

Invocazioni religiose islamiche e cristiane decorano qualsiasi mezzo di locomozione, nelle fogge più varie che l’elegante alfabeto arabo permette: una gamma di stili grafiici talvolta decifrabili dopo attento studio, mani di Fatima e rosari pendono dal sostegno dello specchietto retrovisore, accostandosi senza problemi con immagini di Topolino e dell’Uomo Ragno.

La frequento da più di quarant’anni: qui ho avuto il mio primo impatto col mondo arabo e ne ho ricevuto un imprinting incancellabile. Mi perdonino gli altri pur numerosi e altrettanto affascinanti Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che conosco e visito regolarmene, ma il primo amore non si scorda mai!

Alla prossima puntata, inshallah!

Leggi anche: Egitto: timori esagerati, rischi veri

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Paolo Branca (Milano, 1957) è docente di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano. Laureatosi a Ca’ Foscari (Venezia) 40 anni fa con una tesi in Islamologia è specializzato nelle problematiche del rapporto Islam-mondo moderno. Nel 2011 ha fatto parte del Comitato per l’islam italiano presso il Ministero degli Interni e il Card. Angelo Scola lo ha nominato responsabile delle relazioni coi musulmani dell’Arcidiocesi di Milano durante il suo mandato. Ha pubblicato tra l’altro Voci dell’Islam moderno, Marietti, Genova 1991, Introduzione all’Islam, S. Paolo, Milano 1995, I musulmani, Il Mulino, Bologna 2000, Il Corano, Il Mulino, Bologna 2001, Yalla Italia! Le vere sfide dell’integrazione di arabi e musulmani nel nostro Paese, Edizioni Lavoro, Roma 2007 e, con Angelo Villa, La vita è un cetriolo… alla scoperta dell’umorismo arabo, Ibis, Como/Pavia 2020. Ha tradotto il romanzo del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz, Vicolo del Mortaio, Milano, Feltrinelli, 1989. Su FocusMéditerranée tiene la rubrica “The Mediterranean I know”.

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