Un viaggio in musica attorno al mondo. “Il sentimento popolare” dell’eclettica cantante e attrice Camilla Barbarito in duo con il chitarrista Fabio Marconi è un progetto di ricerca sulla canzone popolare.
L’abbiamo incontrata dopo il suo ultimo concerto a Milano al Garage Moulinski.
Come è nato questo progetto?
Il progetto è nato da parecchi anni a Milano, per rispondere ad una mia esigenza di riaffondare nelle mie radici, nel mio passato teatrale, jazzistico e di studio. Negli anni, ho viaggiato tanto per lavoro e incontrato diverse realtà che hanno lasciato molto nel mio modo di fare e vivere la musica. Questo ha condizionato poi la mia passione e il desiderio di conoscenza, non solo di quello che mi proponeva nell’immediatezza la musica pop, o comunque di derivazione inglese o americana. Il mio incontro con il teatro e con l’Africa poi, mi ha portato a volere conoscere sonorità sempre diverse. I grandi maestri del teatro, con cui ho lavorato, mi hanno insegnato come la nostra identità sia centrale per l’incontro con le altre culture; come quelle tradizionali dei popoli del mondo.
Dici che le vostre sono “canzoni orgogliosamente meticce, lealmente rubate ai loro Paesi d’origine; brani che hanno fatto piangere e ballare, che hanno consolato, che hanno aiutato a scandire il lavoro o a fischiettare gli sfaccendati.” Dove avete preso ispirazione?
C’è una grande complessità, nell’aspetto strettamente musicale è quello di ascoltare timbriche e ritmiche diverse, e quindi diventa un bisogno dell’artista allargare i confini. Le sonorità del Mediterraneo diventano poi importanti perché prima di tutto sono la ricerca delle nostre radici, e quindi la necessità di esplorare anche con un proprio segno ciò che fa parte del nostro imprinting. Non avendo io una tradizione musicale precisa, sono cresciuta a Milano con origini non ben definite tra nord e sud. Ho sentito quindi l‘esigenza di ascoltare sonorità che mi portassero verso una nuova conoscenza. Altri incontri importanti che mi hanno avvicinato sempre di più al bisogno di esplorare nuove culture, sono stati quelli con musicisti dell’est europeo primo fra tutti Vladimir Denissenkov, virtuoso della fisarmonica, e poi Jovica Jovic artista serbo con cui ho lavorato cinque anni. Grazie alle mie collaborazioni, l’Europa mediterranea è per me familiare. Mi è anche estranea perché la complessità della realtà in cui siamo immersi è ricca e questo mi incuriosisce e mi porta continuamente a cercarle e a volerle fare mie, dando vita a queste forme nuove, lontane però da un purismo filologico.
In questi giorni siete stati nel carcere minorile Beccaria a girare un video. Perché questa scelta?
La nostra forma creativa è lontana dai grandi numeri dell’intrattenimento musicale. Siamo cresciuti in una cultura alternativa, con dei forti contenuti. I diritti civili ci stanno a cuore e quindi il carcere Beccaria e il teatro “Punto Zero” li sentiamo affini al nostro percorso. È un luogo dove abbiamo incontrato ragazzi molto interessanti, ma anche con storie difficili. Abbiamo trascorso una giornata intera all’interno di questo bellissimo teatro per fare il nostro video. Registrare in quel luogo le nostre canzoni è importante perché respiri una possibilità per questi ragazzi e senti di dare loro una direzione valida: l’arte. La città è anemica rispetto alle situazioni più vive, interessanti, autentiche, originali, lontane dai riflettori. Noi ci sentiamo vicini a chi porta avanti, con grande convinzione, una dinamica con persone diverse. Non si tratta di quella promossa dai Media, ma di situazioni artistiche vissute dalla comunità, come forma di nutrimento per noi e per chi partecipa con noi. Una musica, quindi, non finalizzata al divismo.
L’ultimo periodo è stato molto difficile per tutti, ma gli artisti sono quelli che hanno avuto più problemi. Possiamo finalmente pensare a progetti e futuro?
Speriamo prima di tutto di non avere più date annullate. La situazione sanitaria degli ultimi due anni ha coinciso con la sospensione dei nostri spettacoli. Speriamo quindi di aver superato quest’emergenza che ha penalizzato noi operatori dello spettacolo. Siamo sempre al lavoro su nuovi progetti. Nel 2021, abbiamo potuto realizzare quello che abbiamo chiamato “S’i’ fosse focu”, un’esperienza di arte, musica e drammaturgia che coinvolgeva gli abitanti di San Siro e di via Padova. Abbiamo creato dei momenti artistici condivisi, con cura e professionalità, ma che comprendevano al loro interno vite e volti delle persone a cui ci rivolgevamo. In questa prima edizione abbiamo incontrato e chiacchierato con anziani del quartiere, residenti nelle case Aler. Ne è nato uno spettacolo fatto di storie incredibili, affiancate nella recitazione da Anna Coppola, un’attrice molto brava che ha dato voce a questi racconti. Il tutto era circondato di musica, per cui alcune storie sono state musicate e quindi sono diventate canzoni. In via Padova, invece, abbiamo legato alla musica gesti rituali, come lo sono alcune feste popolari; abbiamo quindi fatto una candelora con fiaccole e con un coro di voci femminili, che da molti anni incontro al parco Trotter.
Nel 2022, vorremmo ricreare una situazione simile, con la seconda tappa del progetto “S’i’ fosse focu”, cercando di fare vivere la musica e l’arte come un rito collettivo: non solo quindi come spettatori, ma come parte attiva dello spettacolo. Cercheremo di eliminare le barriere tra le comunità, le diverse generazioni, i diversi quartieri centro e periferia, mescolando le carte. Creeremo una festa, in cui “Sentimento popolare” porta una propria dimensione. Abbiamo coinvolto anche un danzatore della Costa d’Avorio residente a Parigi e musicisti di varie provenienze per cercare di trovare una nuova lingua comune. Secondo me le nuove generazioni sono in continua ricerca di un linguaggio che sia anche “meticciato”.