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Egitto: timori esagerati, rischi veri

 

Ancora una volta in Egitto, mia seconda patria adottiva… casuale? naturale? provvidenziale? Dio solo lo sa …

Paolo Branca al Cairo. Ph. Cristina Carminati

Il Cairo – Il primo biglietto aereo per il Cairo l’ho comprato nell’ormai lontano 1981: precisamente il 6 ottobre. Prezzi, compleanni e date di solito li rammento poco, ma questa mi è rimasta impressa poiché – tornato a casa – appresi dal telegiornale che proprio in quel giorno il presidente Sadat era stato assassinato.

Partii lo stesso, con grande apprensione della mia famiglia, ma non ebbi alcun problema: c’erano molti poliziotti e soldati per le strade, ma non mi sentii mai in pericolo.

Come tanti occidentali temevo di più la maledizione di Tutankamen (eufemismo per ‘dissenteria’) o di beccarmi l’ameba, ma fu sufficiente bere acqua minerale (che vendono ovunque e non costa nulla), tè o caffè turco (che lascia un fondo sulla tazzina, dopo averlo bevuto la puoi ribaltare e farti leggere il destino per pochi spiccioli in base ai disegni che vi si formano dopo qualche minuto) e tutto andò bene.

Volare mi piace e non ne ho mai avuto paura. Il solo rischio effettivo è attraversare la strada: tra fiumi d’auto che strombazzano senza alcuna ragione, anche in presenza di semafori o strisce pedonali è meglio unirsi a qualche gruppo impegnato nella stessa avventura e fare lo slalom fra vetture e motocicli che non fingono nemmeno di rallentare, affidandosi alla buona sorte. Devo ammettere che, date le condizioni, di incidenti anche semplici, quali un tamponamento, ne ho visti assai pochi. Insomma, tutto si può imparare, anche se non ho mai avuto il coraggio di prendere un volante in mano.

Ph. Cristina Carminati

Ingenuo e ancora poco pratico della lingua, coi miei capelli (allora biondi) e la mia smilza figura, venivo spesso abbordato da poliglotti che cercavano di abbindolarmi: mentendo, mi dicevano che non avrei potuto prendere un taxi o un bus perché tutto si sarebbe bloccato per la preghiera, concedendomi una pausa che finiva regolarmente con qualche chiacchiera, una sigaretta e una bevanda offertami in un negozio di tappeti orientali, profumi, piramidine, piccole mummie o altri souvenir, che regolarmene rifiutavo cercando invano di spiegare che ero un povero studente e non un turista occasionale a caccia di regalini da distribuire fra gli amici al mio ritorno. Mi han fatto perdere del tempo, ma la misura di quest’ultimo varia di molto da luogo a luogo e i miei anni di studio a Venezia, ‘Porta d’Oriente’, mi avevano abituato ai ritmi lenti e a lunghe camminate.

Più che un rischio, mutare il proprio senso del tempo, è una necessità inderogabile, altrimenti il milanese che in fondo sono non avrebbe potuto sopravvivere con l’occhio sempre puntato sull’orologio. Il ritardo è un’istituzione nazionale, kull ta’khìra fiha khìra (in ogni ritardo c’è un’opportunità) recita un proverbio locale consolatorio: magari un’occasione imprevista ti potrebbe capitare proprio per la lungaggine dei trasferimenti, tanto comunque non ci puoi far nulla: meglio sperare che non sia soltanto una fastidiosa seccatura. Il continuamente ripetuto inshallàh, che può vuol dire ‘sì’, ‘no’ o ‘chissà’ a seconda delle circostante, oltre che scaramantico è uno stile di vita che insegna se non altro a non prender le cose troppo sul serio.
Quando nel film Gandhi un pastore anglicano sale sul tetto del treno per stare più al fresco, all’avvicinarsi di una galleria i suoi vicini gli dicono più o meno “Abbassa la testa e prega il tuo Dio..  anche se qui forse funziona meglio il nostro!”

Il Cairo. Ph. Silvia Dogliani

Cinema e letteratura a volte insegnano cose che nei manuali non si trovano o sono espresse in modo noioso. L’esperienza educa più di ogni scienza, ma resta il fatto che un libro lo puoi chiudere e rimandarne la lettura, mentre nelle cose pratiche ti ci ritrovi anche controvoglia e ti conviene imparare presto e bene la lezione.

Del resto ‘altro’ significa anche ‘diverso’ e può essere persino divertente; comunque è sempre interessane, a patto che il tuo spirito di adattamento non sia messo alla prova troppe volte nel volgere di poche ore.

A quel tempo non c’era ancora la metropolitana e piazza Tahrir era il capolinea di un numero impressionane di autobus per tutte le direzioni (sì, ma quali? non sempre era facile capirlo). Meglio evitare i tram, perennemente fermi per qualche auto parcheggiata sui binari, e godersi il percorso in corriera con tanto di fermate impreviste che permettevano al conducente di scendere per una tazza di tè o qualche altra misteriosa ragione.

Dentro un taxi al Cairo. Ph. Cristina Carminati

Ma la cosa più comoda è prendere un taxi. Anche qui però vi sono regole non scritte che bisogna capire e imparare in fretta: devi metterti sul lato della strada giusto, cioè quello che si trova lungo la direzione in cui devi andare, gridare il nome della tua destinazione e magari si ferma uno che ha già altri passeggeri a bordo. Il percorso sarà un po’ più lungo per depositarli uno a uno vicino alla loro meta, ma intanto fai conoscenza di persone e luoghi. Ognuno paga in base al tragitto e te la cavi con poco, se non sei l’ultimo a scendere e parli la lingua del posto. Altrimenti, ti viene sparata una cifra sproporzionata, che comunque al cambio corrisponde a non molti spiccioli.

Un’altra soluzione sono i microbus che fanno un percorso fisso e questa volta è l’autista a gridare il nome del capolinea. Se c’è posto e magari non ti sta seduto accanto qualcuno con un registratore che trasmette al massimo volume possibile qualche brano del Corano, può costare ancora di meno e farti sentire come uno di loro, badando però a sederti preferibilmente accanto a un altro uomo. La promiscuità è inevitabile, ma non sempre gradita.

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Paolo Branca (Milano, 1957) è docente di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano. Laureatosi a Ca’ Foscari (Venezia) 40 anni fa con una tesi in Islamologia è specializzato nelle problematiche del rapporto Islam-mondo moderno. Nel 2011 ha fatto parte del Comitato per l’islam italiano presso il Ministero degli Interni e il Card. Angelo Scola lo ha nominato responsabile delle relazioni coi musulmani dell’Arcidiocesi di Milano durante il suo mandato. Ha pubblicato tra l’altro Voci dell’Islam moderno, Marietti, Genova 1991, Introduzione all’Islam, S. Paolo, Milano 1995, I musulmani, Il Mulino, Bologna 2000, Il Corano, Il Mulino, Bologna 2001, Yalla Italia! Le vere sfide dell’integrazione di arabi e musulmani nel nostro Paese, Edizioni Lavoro, Roma 2007 e, con Angelo Villa, La vita è un cetriolo… alla scoperta dell’umorismo arabo, Ibis, Como/Pavia 2020. Ha tradotto il romanzo del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz, Vicolo del Mortaio, Milano, Feltrinelli, 1989. Su FocusMéditerranée tiene la rubrica “The Mediterranean I know”.

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