Expo 2015/”Cibo. la sfida globale”. Intervista a Paolo De Castro

De-Castro-Paolo-webNei prossimi decenni, saremo di più e consumeremo di più, il che coinvolgerà inevitabilmente tutti: i Paesi ricchi, quelli meno sviluppati e i cosiddetti emergenti.
La food security è una questione globale che non sta solo nell’iniqua distribuzione delle risorse sul pianeta, ma riguarda la stessa capacità di realizzare una produzione alimentare più sostenibile dal punto di vista ambientale e sufficiente a soddisfare una domanda in rapida crescita. Abbiamo intervistato Paolo De Castro, uno dei più autorevoli esperti in Europa di politiche alimentari, nonché autore del libro “Cibo. La sfida globale”, edito da Donzelli.

Il volume, presentato di recente all’ISPI di Milano, affronta, con uno sguardo di sintesi, le questioni poste al centro dell’Expo e percorre i nodi strategici dell’appuntamento milanese.

la marziana_Ali HusseinSiamo sempre di più. Insieme alla popolazione, crescono anche i consumi di prodotti alimentari. In calo è invece la disponibilità di risorse alimentari. Di fronte a questi dati, sempre più preoccupanti, qual è la sua “soluzione” per poter sfamare gli oltre 9 miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2050?
Il problema è proprio questo. E’ anche il grande tema e sfida dell’Expo: “nutrire il pianeta”. Non ci rendiamo conto che l’aumento della popolazione, da un lato, e la modifica delle diete alimentari, dall’altro (perché i cinesi e gli indiani stanno diventando sempre più ricchi e, aumentando il reddito pro-capite, i consumi si spostano verso diete alimentari più ricche in contenuti zootecnici, come, ad esempio, latte e carne), richiede una grande quantità di prodotti agricoli, di cereali, di mais, di soia. Prodotti, cioè, necessari per alimentare quei capi di bestiame che producono il latte e la carne, in risposta ad una domanda così forte e in crescita. Da qui c’è lo squilibrio sulle risorse naturali. Come faremo a soddisfare questa domanda che cresce ad un ritmo superiore a quello che è l’offerta agricola mondiale? E’ il tema cruciale dell’Expo e la sfida del secolo. Il mio libro cerca di dare delle soluzioni di politica globale, ma anche di comportamenti individuali. Lo spreco alimentare, per esempio, in un contesto del genere non possiamo più tollerarlo. La ricerca e l’innovazione devono essere obiettivi strategici importanti a tutti i livelli: nazionali, europei e internazionali. La risposta a questa sfida passa infatti dalla ricerca, dall’innovazione e dalla capacità di dare più intelligenza per ettaro. Nel libro do questa definizione, che vuol dire l’uso di una maggiore conoscenza e non, dunque, l’uso maggiore di fertilizzanti: fare in modo che, attraverso la ricerca, si riesca nel grande obbiettivo di produrre di più, inquinando di meno, mantenendo alta la fertilità del terreno. Tutto ciò passa per una maggiore sensibilità pubblica e l’Expo è l’occasione per accrescerla. A livello internazionale, i governi e le autorità saranno sollecitati a mettere all’interno dell’agenda dei grandi incontri il tema del cibo e della sostenibilità delle risorse.

Expo, Milano. Ph. Angelo RedaelliIl cibo, come dicevamo, è il tema dell’Expo 2015. Perché? Un’operazione di marketing o sincera preoccupazione?
Noi abbiamo vinto l’Expo – e posso dirlo in quanto sono stato parte attiva nel 2007 quando vincemmo: come ministro dell’Agricoltura del governo Prodi, ho cercato di portare avanti anch’io l’ottenimento di questo risultato – perché azzeccammo il titolo. Rispetto ai nostri concorrenti, come Smirne in Turchia, avevamo centrato l’attenzione pubblica intorno alla sfida del cibo, la grande sfida dell’umanità; ancora di più, per via temporale, di quella del clima, altro grande obiettivo dell’Unione Europea. Il tema degli approvvigionamenti alimentari farà scatenare una contraddizione. La Fao stima che ci vuole un aumento del 70% della produzione agricola mondiale per soddisfare la domanda in crescita verso i prodotti zootecnici (e che cresce come demografia). Ce la faremo? Come dicevo prima, senza ricerca, senza innovazione, con lo spreco che abbiamo, con una gestione sbagliata delle risorse naturali, utilizzando i campi per fare energia invece che per fare prodotti agricoli, …sono tutte questioni che chiamano all’impegno di tutta la comunità. Ci auguriamo, quindi, che l’Expo sia il momento in cui si pongano le giuste domande, anche se non troveremo le risposte adeguate.

Può spiegarci che cos’è il “land grabbing, la corsa all’accaparramento di terre”, di cui lei parla nel suo libro?
Il “land grabbing è la dimostrazione di quanto dicevamo prima, e cioè che la scarsità è diventata una preoccupazione. Se fosse solo un problema di ridistribuzione tra ricchi e poveri, i cinesi avrebbero le risorse per comprare tutto ciò che serve loro, ma questo non basta più. Ecco perché c’è bisogno di riuscire a trovare le modalità con cui il mondo terrà il passo come produzione alla domanda. Oggi, c’è cibo per tutti, ma, in prospettiva, non è così. La preoccupazione del futuro spinge Paesi come Cina, India, Corea del Sud e altri ad andare a caccia di terra. Vanno a caccia di risorse naturali che in futuro potranno garantire il cibo di cui avranno bisogno.

E in Italia che succede?
Si investe sempre meno nella ricerca sul settore agrario. Si sono tolti troppi ettari alle coltivazioni per darli all’edilizia, salvo poi ritrovarci con intere aree artigianali vuote e abbandonate.

Se pensiamo al progetto “Green corridor” tra Egitto e Italia, alla cooperazione tra Italia e Tunisia nel settore agroalimentare…su cosa dobbiamo focalizzarci oggi per ideare nuovi progetti di scambio (in termini di ricerca, innovazione, informazione, educazione al consumo, rispetto dell’ambiente) e nuove politiche di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo a beneficio del pianeta?
Io credo che dobbiamo cooperare sempre di più con i Paesi del Mediterraneo. C’è stato un momento di attenzione negli anni passati con il “Processo di Barcellona”, ad esempio, ma poi sembra quasi che ce ne siamo dimenticati. Ricordiamoci che anche la stessa “Primavera araba” è figlia di un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, perché le scintille delle rivolte in Tunisia ed Algeria sono esplose per l’aumento del prezzo del pane e della farina. Dobbiamo capire che, per gestire queste grandi contraddizioni, è necessario impegnare molta più intelligenza ed energia per cercare di creare sviluppo in questi Paesi. E l’agricoltura è il primo dei settori che potrà contribuire alla crescita e all’occupazione. Per farlo, bisogna operare con una logica molto diversa rispetto al passato: non dobbiamo regalare dei prodotti agricoli, ma dobbiamo insegnare loro a produrre e a fare dell’agricoltura una leva di sviluppo. In questo l’Europa può fare moltissimo, ma lo può fare se tutti rimettiamo al centro l’interesse del Mediterraneo e una cooperazione tra sponde nord e sud del nostro mare, che possa guardare all’agricoltura come uno dei terreni più solidi e più forti di cooperazione.

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