Nonostante voi – Livia Grossi. Ph.Simona BoccediAl Centro Internazionale di Quartiere (C.I.Q.), una bellissima realtà alla periferia sud di Milano, ci si occupa da oltre vent’anni di co-sviluppo tra Italia e Senegal, promozione sociale e intercultura. È lì che di recente è stato promosso Giornalismo in scena, uno spettacolo atipico: il Giornale parlato di Livia Grossi, giornalista del Corriere della Sera.
Giornalismo in scena è un modo nuovo di fare informazione: il palco si trasforma in una pagina di un magazine mentre foto e video – e soprattutto la musica di Andrea Labanca – dialogano con l’autrice sul palcoscenico.
Come è nata l’idea del giornalismo parlato?
Uno degli obbiettivi è sicuramente quello di avvicinare il pubblico, ovvero di ristabilire l’antico patto di fiducia tra il lettore e nel mio caso la giornalista. Questo significa metterci la faccia, andare sul campo, verificare la notizia e comunicarla direttamente alle persone ed essere a loro disposizione per domande, approfondimenti, e/o dubbi, cosa che accade solitamente dopo aver letto le mie pagine di giornale in scena.
Il mio giornalismo vuole essere diverso, è la notizia protagonista, io le do voce, sono un canale di comunicazione. L’obbiettivo del giornalista dovrebbe essere quello di restare al servizio del lettore; dall’altra parte, con un patto di fiducia, dovrebbe esserci una richiesta di parlare dei problemi reali e di proporli al giornalista stesso.
Hai incontrato ed intervistato moltissime donne, perché hai scelto di raccontare proprio queste storie (ndr Nonostante voi: sono tre le storie raccontate da Livia Grossi in scena)?
Il filone è “storie di donne coraggio”; queste tre donne che racconto mi hanno colpito proprio per questo. Anche se parlato, essendo un giornale, ho pensato ad un’impaginazione. Potranno quindi essere ogni volta storie diverse, toccano argomenti che non rincorrono la cronaca, ma sono sempre e purtroppo continuamente attuali.
C’è la storia di Pushka, ad esempio (le “vergini giurate” in Albania esistono da più di cinquecento anni), che per difendere i suoi diritti e la sua dignità ha deciso di diventare uomo, si veste e si comporta da uomo e come tale viene considerata. C’è Maria, rifugiata politica, arrestata ingiustamente con l’accusa di terrorismo e riconosciuta innocente dopo 8 anni di carcere. E per finire, c’è la storia di Marietù N’Daye, la quale ha visto morire le sue figlie per l’infibulazione, che, nonostante sia vietata dalla legge, continua comunque ad essere praticata. Marietù è riuscita a creare un enorme movimento che ha travalicato anche i confini del suo Paese. È il coraggio di queste donne ad essere protagonista del mio spettacolo, quello di essere se stessi, comunque, e, aldilà delle leggi e delle convenzioni, continuare la propria battaglia … delle novelle Antigone quindi.
Le morti nel Mediterraneo sono purtroppo un bollettino ormai giornaliero. Tu hai intervistato qualche donna che ce l’ha fatta, che è riuscita a raggiungere la nostra sponda?
Uno dei miei desideri è riuscire ad intervistare qualcuna di queste donne. Non voglio però fare come purtroppo capita tra i miei colleghi, che vanno sulle storie strappalacrime per alzare l’audience o per vendere più copie. Io vorrei poter raccontare una storia di riscatto. Quando avrò la storia vera di una donna che vorrà raccontarsi senza essere costretta, la inserirò nel mio giornale. Mi piacerebbe anche che fossero i miei lettori a suggerirmele.
Sono molte le donne che tentano di fuggire da situazioni pericolose nei loro Paesi di origine e che poi purtroppo perdono la vita in mare. Quali sono le soluzioni ancora da trovare?
Tempo fa si parlava di corridoi umanitari, quindi di far sì che le persone si muovessero in sicurezza e non che fossero costrette ad essere vendute ai vari schiavisti, da quando abbandonano le loro case fino a quando non riescono ad arrivare qui, con l’odissea che vivono e che tutti conosciamo. Purtroppo sono logiche che hanno a che fare con i vari governi, perché ovviamente queste cose non accadrebbero se non ci fosse un tornaconto. Arrivano persone che fanno comodo, disposte a fare di tutto per sopravvivere. Non hanno documenti, sono ricattabili. Perché quindi cambiare questa logica? È perfetta per chi vuole continuare lo sfruttamento. La questione è molto controversa: se da una parte ci si batte il petto compatendoli, dall’altra ci fa comodo che le cose continuino così come sono, perché arrivano qua senza diritti e diventano schiavi nella nostra terra. Si può fermare tutto ciò? Sì, ma bisogna fermare gli interessi di coloro i quali vivono dello sfruttamento di queste persone.
Livia Grossi si occupa anche di insegnare ai giovani il giornalismo dal vivo. Trovate tutti i riferimenti sulla sua pagina Facebook e su LinkedIn.