Taher Djafarizad, attivista dei diritti umani, da anni dedica la sua vita alla difesa dei diritti delle donne. Non si limita solo alle donne dell’Iran, suo Paese di origine, ma estende il suo impegno a tutte le vittime di maltrattamenti, con particolare attenzione alle donne che vivono nei Paesi dove vige la legge islamica della Sharia.
Lo abbiamo incontrato in occasione della presentazione del suo libro “Apartheid Femminile”, in cui racconta la sua esperienza di attivista e le tante storie di donne incontrate nel corso degli anni.
Taher Djafarizad è anche il fondatore dell’Associazione NedaDay, con sede a Pordenone, città del nord est dove vive e lavora.
Ci racconti come è nata questa iniziativa?
“Era il 1984, mi trovavo in coda per rinnovare il permesso di soggiorno.L’atmosfera in Questura era come sempre molto carica di tensione, ad alzare il livello ci pensava anche un arrogante poliziotto che maltrattava un immigrato marocchino che chiedeva il suo documento per poter lavorare, questa situazione mi ha spinto a formare l’associazione. Non potevo stare a guardare dovevo dare il mio contributo, è partito tutto da lì e non mi sono più fermato”.
All’alba di ieri, dopo la chiamata alla preghiera, Samira Sabzian è stata impiccata dalla mano brutale degli ayatollah. Nel 2013, era stata arrestata con l’accusa di aver ucciso il marito, un uomo violento costretta a sposare all’età di 15 anni. La storia di questa donna racconta un’altra ingiustizia che avviene con il consenso del regime: il fenomeno delle spose bambine. L’età legale del matrimonio per le ragazze è 13 anni, ma se padre o nonno paterno sono d’accordo, possono sposarsi anche molto prima. È proprio così?
“In Iran, l’età matrimoniale per le donne è stata portata a 13 anni da poco tempo e dopo tante lotte. Prima, era 9 anni, così è rimasta in tanti Paesi islamici; un esempio è l’Arabia Saudita (uno Stato amico dell’Occidente). Questo problema è stato portato da noi attivisti all’attenzione inizialmente del Parlamento italiano con centinaia di incontri, che non hanno portato grandi risultati. E per questo ci siamo rivolti al Parlamento europeo, non abbiamo mai mollato. Finalmente il 4 ottobre del 2017 siamo riusciti a far approvare una risoluzione a livello europeo per l’eliminazione del matrimonio infantile. Il fenomeno è agghiacciante, se pensiamo che più di trentamila bambine vengono portate fuori dall’Europa e vendute ogni anno”.
I numeri che riporti sul tuo libro sono impressionanti. Ogni anno nel mondo, più di 14 milioni di bambine vengono date in sposa e 70mila perdono la vita partorendo. Anche Samira, la donna impiccata ieri in Iran, aveva due figli che le sono stati portati via …
“I suoi figli erano ospiti dei genitori del marito; loro avrebbero potuto scongiurare la sua morte perdonandola, ma si sono rifiutati. Era stata arrestata con l’accusa di avere ucciso il marito, un uomo violento che aveva sposato all’età di 15 anni. Ma in Iran, quando una donna maltrattata chiede aiuto, la polizia non può entrare in casa. Se scappa, molto spesso i giudici la riportano all’uomo a cui è legata per legge”.
Quante donne sono state uccise, in questo modo, nell’ultimo anno?
“I numeri sono molto alti: diciotto le donne impiccate per questo reato, i maltrattamenti sono all’ordine del giorno. Secondo i dati del governo iraniano ad oggi sono 800 le esecuzioni, ma credo che siano molte di più”.
Nel tuo libro tratti anche di un altro problema, sempre legato ai matrimoni forzati: il suicidio femminile
“In Iran il suicidio è la seconda causa di morte femminile. Mentre nel resto del mondo si osserva un rapporto di tre suicidi maschili su uno femminile, in Iran è esattamente il contrario. Decine di donne tormentate, spesso anche bambine, vengono ricoverate per aver tentato il suicidio; ma tutto questo viene insabbiato dal regime. Infatti, non ci sono dati ufficiali.”
Un’altra pratica barbara e brutale applicata in molti Paesi dove vige la Sharia è la lapidazione. In Iran è stata abolita, grazie alla lotta degli attivisti di tutto il mondo e soprattutto per la storia di Sakineh Ashtiani, che tu racconti nel tuo libro
“Sakineh era stata accusata di adulterio e di aver partecipato all’uccisione del marito, ed era stata condannata alla lapidazione. Anche nella pratica della lapidazione c’è una differenza tra uomo e donna: l’uomo viene seppellito sino alla vita, la donna sino al petto. Siccome le vittime hanno la possibilità di salvarsi, anche in questo l’uomo è avvantaggiato, perché spesso non muore, mentre le donne non hanno scampo”.
Quindi, come vi siete mossi?
“Abbiamo portato il caso al Parlamento e abbiamo cercato un avvocato in Iran, ma tutti gli avvocati che contattavamo venivano minacciati uno dietro l’altro. L’unico ad accettare l’incarico fu Hutan Kia, che ha pagato a caro prezzo il suo coraggio: è stato arrestato e torturato. Quindi, per evitare altre sofferenze abbiamo chiesto ad un avvocato di Pordenone di sostenerci, Bruno Malattia, che è stato fondamentale per questa vittoria, insieme alle istituzioni italiane ed europee. Nel 2014, dopo anni di lotte e sofferenze, Sakineh è stata rilasciata e quella pratica barbara che è la lapidazione abolita”.
Purtroppo, la lapidazione continua ad essere praticata in molti altri Paesi islamici, quali l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan, l’Afghanistan e lo Yemen. Credi che la nostra voce potrebbe essere ascoltata contro questa barbarie?
“Io ci credo fermamente. Bisogna continuare a far sentire la nostra voce. L’Italia è sempre stata molto presente in questa lotta, anche nelle piccole cose. Ti faccio l’esempio di una squadra di pallavolo calabrese che nel 2011, per sostenerci, mise sulla sua maglietta come sponsor “Salviamo Sakineh””.
Anche la musica, secondo gli ayatollah, non è compatibile con i valori della Repubblica islamica
“È cronaca degli ultimi giorni: il regime ha fatto arrestare un uomo di settant’anni perché ballava e cantava una canzone dialettale, proprio della mia città, Rasht, il fiore all’occhiello dell’Iran per la cultura e l’economia. Per protesta, in tutte le città ora cantano e ballano questa canzone”.
Qual è la situazione in questo momento in Iran?
“La situazione è drammatica. Ho parlato qualche giorno fa con il marito di Nasrin Sotoudeh – che ha ricevuto il premio Sakharov nel 2012 come avvocata e attivista per i diritti umani. Nasrin difende le minoranze religiose, le donne, i minori e i manifestanti contro le frodi elettorali, la pena di morte e la tortura da parte del regime. Evito di parlare con lei direttamente per non crearle ulteriori problemi; comunque, l’economia è al collasso. Le risorse sono usate solo per le armi. Anche i 6 miliardi che Biden ha scongelato dalle banche coreane, che erano del governo iraniano, li hanno usati per finanziare i movimenti terroristici in Yemen, gli Hezbollah in Libano e il governo di Assad. La popolazione è allo stremo. Noi stiamo tentando di raccogliere i soldi per mandare in una scuola il necessario per poter studiare. È vergognoso in un Paese che detiene la seconda riserva mondiale di gas naturale”.
Negli ultimi tempi è sceso un po’ l’oblio da parte dei media italiani e non. Cosa succede in Iran? Continuano le lotte delle donne?
“Non si sono mai fermate. Molte di loro hanno deciso di non portare più il velo, con conseguenti arresti e torture di ogni genere in nome del loro Dio. Proprio a causa di queste manifestazioni, molti giovani vengono feriti; gli sparano con i fucili da caccia, e non possono neanche curarsi perché gli ospedali si rifiutano di accoglierli, per paura di ritorsioni. Noi stiamo cercando di portare 25 di questi ragazzi – pensa che ne abbiamo segnalati circa settecento, in maggioranza donne – in Italia per curarli, ma la burocrazia ci sta boicottando. È veramente difficile”.
Hai affermato che questi fucili sono prodotti da una ditta italo-francese?
“Si, che ha anche una sede a Livorno. Abbiamo avuto diversi incontri con i membri del governo italiano, che ci avevano assicurato l’accoglienza. Noi avremmo fornito vitto, alloggio e cure gratuite da medici iraniani, ma a un certo punto non abbiamo capito bene il perché si sia arenato tutto”.
La repressione del regime teocratico si fa sempre più pressante, ma il popolo non si arrende. In cosa è diversa questa ribellione dalle altre che si sono consumate in Iran nel corso degli anni?
“La diversità sta nel fatto che, per la prima volta nella storia, da un anno e mezzo, anche gli uomini sono scesi in piazza insieme alle donne. La morte della ventiduenne Mahsa Amini, uccisa dalla polizia religiosa perché non indossava nel modo giusto lo shador, ha mosso le coscienze, anche degli intellettuali. Questa volta deve essere la volta buona”.