Sono molte le donne reporter presenti oggi nei teatri di guerra. Le abbiamo viste alla televisione raccontare il conflitto scoppiato in Ucraina, le troviamo su Twitter, Facebook, Instagram e altri Social media, abbiamo anche ascoltato le loro voci su podcast o via radio. Ci hanno accompagnato giorno dopo giorno, tra incredulità, angoscia e incertezza su questo nostro futuro sempre più imprevedibile.
Nel 1929, erano pochissime le donne che andavano a documentare una guerra. Lee Miller, una giovane americana dinamica, era una di loro (o la prima tra tutte).
A Venezia, presso il Palazzo Franchetti, è allestita fino al 10 aprile la mostra “LEE MILLER MAN RAY, fashion, love, war“ dedicata a questa modella, fotografa, sperimentatrice, giornalista. Accanto alle sue opere, quelle di uno dei suoi grandi amori: Man Ray.
Forse “accanto” è un eufemismo, visto che le opere di Man Ray sono presenti praticamente in ogni sala espositiva, quasi a sovrastare il lavoro della compagna.
La bellezza di Lee viene scoperta per caso da Condé Montrose Nast – il magnate dell’editoria, proprietario delle testate Vogue e Vanity Fair – che la salva mentre stava per essere investita da un’automobile in una delle strade di Manhattan.
Nel marzo del 1927, Lee viene scelta per la copertina di Vogue e da quel giorno la sua carriera decolla: lavora con i più importanti fotografi di moda e poi, nel 1929, si trasferisce a Parigi, diventando l’allieva dell’artista Man Ray. La relazione professionale presto si trasforma in sentimento e passione. Con Man Ray vivrà un rapporto intenso, uno scambio di emozioni, esperienze, idee, creatività. Per lui poserà e con lui sperimenterà nuove tecniche fotografiche, come il processo di “solarizzazione”, fino poi ad aprire il suo studio fotografico nella capitale francese. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, Man Ray e Lee Miller saranno parte attiva di un’epoca di importanti cambiamenti storici e sociali, in cui l’arte ricopriva un ruolo chiave. L’approccio di Miller al surrealismo è molto particolare, come quando decide di fotografare su un piatto di portata un seno reciso dopo una mastectomia a cui aveva assistito presso la scuola di medicina della Sorbona.
Nel 1932, Miller decide di lasciare la Francia e tornare a New York. Il rapporto sentimentale con Man Ray si era deteriorato e il suo animo irrequieto la spingeva verso una nuova sfida: aprire un suo studio fotografico anche negli Stati Uniti. Con successo produce immagini di still life, ritratti per l’alta società e per il mondo dello spettacolo. Due anni dopo, una nuova storia d’amore con l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey la porta in Africa e una seconda, con l’artista britannico Roland Penrose, la riporta nel 1939 in Europa, e precisamente a Londra.
È l’inizio della Seconda Guerra mondiale e le immagini spensierate scattate da Lee in Egitto durante viaggi avventurosi lasciano spazio a quelle che realizza per Vogue e che ritraggono la drammaticità della guerra: la sofferenza colpisce e annienta anche Londra e la sua cultura. Tra questi scatti c’è Revenge on Culture (La vendetta sulla cultura), che raffigura una statua sgretolata e Il Silenzio della Remington, una macchina da scrivere ridotta a pezzi.
Miller diventa una delle quattro fotoreporter americane accreditate come corrispondenti di guerra ufficiali delle forze armate statunitensi. In questa veste, documenta la liberazione di Francia, Belgio e Lussemburgo prima di accompagnare l’avanzata americana in Germania. Il lavoro di fotografa diventa per Lee una forma di orgoglio al punto che decide di realizzare anche veri e propri reportage di moda in tempo di guerra, come il ritratto a Elizabeth Cowell Modella con un tailleur di Digby Morton, dove una Londra bombardata diventa il set fotografico e abiti modesti vengono messi in risalto come fossero capi di alta moda.
La mostra si conclude con un’immagine diventata famosa e simbolica: era il 30 aprile del 1945, Adolf Hitler si era suicidato e Lee veniva immortalata dal fotogiornalista di origine ebrea David E Scherman mentre faceva il bagno dentro la vasca del Fürher nel suo appartamento al civico 16 di Prinzregenten Platz, a Monaco di Baviera. C’è un ritratto di Hitler sul bordo della vasca, dal lato opposto lo sguardo stanco di Miller si perde nella stanza mentre i suoi scarponi sporchi di terra giacciono con prepotenza sul tappetino del bagno, come a voler calpestare e oltraggiare l’intimità del Fürher. È una provocazione, un’immagine controversa e ironica allo stesso tempo, la conclusione di una guerra devastante che una giovane donna americana ha avuto la prontezza di documentare con coraggio (Ph. David E Scherman - Credit: Lee Miller Archives, Inghilterra 2015).