
Lee Miller nella redazione di Vogue, Londra (1943). Ph. David E. Scherman
Sono molte le donne reporter presenti oggi nei teatri di guerra. Le abbiamo viste alla televisione raccontare il conflitto scoppiato in Ucraina, le troviamo su Twitter, Facebook, Instagram e altri Social media, abbiamo anche ascoltato le loro voci su podcast o via radio. Ci hanno accompagnato giorno dopo giorno, tra incredulità, angoscia e incertezza su questo nostro futuro sempre più imprevedibile.
Nel 1929, erano pochissime le donne che andavano a documentare una guerra. Lee Miller, una giovane americana dinamica, era una di loro (o la prima tra tutte).
A Venezia, presso il Palazzo Franchetti, è allestita fino al 10 aprile la mostra “LEE MILLER MAN RAY, fashion, love, war“ dedicata a questa modella, fotografa, sperimentatrice, giornalista. Accanto alle sue opere, quelle di uno dei suoi grandi amori: Man Ray.

Lee Miller Man Ray, Palazzo Franchetti, Venezia. Ph. Silvia Dogliani
Forse “accanto” è un eufemismo, visto che le opere di Man Ray sono presenti praticamente in ogni sala espositiva, quasi a sovrastare il lavoro della compagna.
La bellezza di Lee viene scoperta per caso da Condé Montrose Nast – il magnate dell’editoria, proprietario delle testate Vogue e Vanity Fair – che la salva mentre stava per essere investita da un’automobile in una delle strade di Manhattan.
Nel marzo del 1927, Lee viene scelta per la copertina di Vogue e da quel giorno la sua carriera decolla: lavora con i più importanti fotografi di moda e poi, nel 1929, si trasferisce a Parigi, diventando l’allieva dell’artista Man Ray. La relazione professionale presto si trasforma in sentimento e passione. Con Man Ray vivrà un rapporto intenso, uno scambio di emozioni, esperienze, idee, creatività. Per lui poserà e con lui sperimenterà nuove tecniche fotografiche, come il processo di “solarizzazione”, fino poi ad aprire il suo studio fotografico nella capitale francese. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, Man Ray e Lee Miller saranno parte attiva di un’epoca di importanti cambiamenti storici e sociali, in cui l’arte ricopriva un ruolo chiave. L’approccio di Miller al surrealismo è molto particolare, come quando decide di fotografare su un piatto di portata un seno reciso dopo una mastectomia a cui aveva assistito presso la scuola di medicina della Sorbona.

Lee Miller Man Ray, Venezia. Ph. Silvia Dogliani
Nel 1932, Miller decide di lasciare la Francia e tornare a New York. Il rapporto sentimentale con Man Ray si era deteriorato e il suo animo irrequieto la spingeva verso una nuova sfida: aprire un suo studio fotografico anche negli Stati Uniti. Con successo produce immagini di still life, ritratti per l’alta società e per il mondo dello spettacolo. Due anni dopo, una nuova storia d’amore con l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey la porta in Africa e una seconda, con l’artista britannico Roland Penrose, la riporta nel 1939 in Europa, e precisamente a Londra.
È l’inizio della Seconda Guerra mondiale e le immagini spensierate scattate da Lee in Egitto durante viaggi avventurosi lasciano spazio a quelle che realizza per Vogue e che ritraggono la drammaticità della guerra: la sofferenza colpisce e annienta anche Londra e la sua cultura. Tra questi scatti c’è Revenge on Culture (La vendetta sulla cultura), che raffigura una statua sgretolata e Il Silenzio della Remington, una macchina da scrivere ridotta a pezzi.
Miller diventa una delle quattro fotoreporter americane accreditate come corrispondenti di guerra ufficiali delle forze armate statunitensi. In questa veste, documenta la liberazione di Francia, Belgio e Lussemburgo prima di accompagnare l’avanzata americana in Germania. Il lavoro di fotografa diventa per Lee una forma di orgoglio al punto che decide di realizzare anche veri e propri reportage di moda in tempo di guerra, come il ritratto a Elizabeth Cowell Modella con un tailleur di Digby Morton, dove una Londra bombardata diventa il set fotografico e abiti modesti vengono messi in risalto come fossero capi di alta moda.
La mostra si conclude con un’immagine diventata famosa e simbolica: era il 30 aprile del 1945, Adolf Hitler si era suicidato e Lee veniva immortalata dal fotogiornalista di origine ebrea David E Scherman mentre faceva il bagno dentro la vasca del Fürher nel suo appartamento al civico 16 di Prinzregenten Platz, a Monaco di Baviera. C’è un ritratto di Hitler sul bordo della vasca, dal lato opposto lo sguardo stanco di Miller si perde nella stanza mentre i suoi scarponi sporchi di terra giacciono con prepotenza sul tappetino del bagno, come a voler calpestare e oltraggiare l’intimità del Fürher. È una provocazione, un’immagine controversa e ironica allo stesso tempo, la conclusione di una guerra devastante che una giovane donna americana ha avuto la prontezza di documentare con coraggio (Ph. David E Scherman
- Credit: Lee Miller Archives, Inghilterra 2015).
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