Omicidio Pecorelli: OP, la storia continua

 

Con quattro colpi di pistola,il 20 marzo del 1979, un killer uccise a Roma il giornalista Mino Pecorelli perché uomo scomodo. Raffaella Fanelli ha indagato su questa storia irrisolta, realizzando il podcast OP (dal nome della testata di cui Pecorelli era direttore).

 


Leggi anche la prima parte dell’intervista a Raffaella Fanelli 

 

Pecorelli è stato accusato di essere piduista e anche un ricattatore…

Lui si era infiltrato nella P2 per raccogliere notizie e al contrario di altri poi prende le distanze da questa organizzazione e inizia a scrivere contro Licio GelliMichele Sindona. La sentenza di Perugia, quella che assolve Giulio Andreotti dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio e Massimo Carminati l’esecutore, mette nero su bianco una certezza: Mino Pecorelli non era un ricattatore, non era ricco come dovrebbe essere un ricattatore. Alla sua morte, i famigliari non sono riusciti a rilevare la testata perché indebitata fino al collo. In banca aveva pochi soldi. Lui pubblicava tutti i suoi scoop, ed erano notizie pesanti, tant’è che gli pendevano sul capo ben 99 querele per le quali non è mai stato condannato perché era un giornalista che verificava le sue fonti e pubblicava con carte alla mano. Quando stava per pubblicare qualcosa di scottante, mi hanno riferito i suoi collaboratori, lui andava dal diretto interessato e lo informava, non per ricattarlo, ma per registrarne la reazione e pubblicare anche quella. Aveva fatto così con tutti i destinatari delle sue inchieste e si comportò così anche con Federico Umberto D’Amato. Tre giorni prima di essere ucciso, infatti, incontrò D’Amato. Non sappiamo cosa si siano detti, però è chiaro che avesse una notizia che lo riguardava e che riguardava anche Licio Gelli. Aveva, infatti, fissato un appuntamento con Gelli per il 21 marzo, il giorno successivo al suo assassinio. La notizia che stava per pubblicare riguardava entrambi. E oggi noi sappiamo che sono i mandanti della strage di Bologna.

Quali sono state le conseguenze, le reazioni alla tua inchiesta?
Tutta la mia inchiesta, con anche le dichiarazioni di Vinciguerra, sono finite nella sentenza che a Bologna ha condannato all’ergastolo l’ex NAR Gilberto Cavallini. Vinciguerra, inoltre, è stato chiamato anche nel processo a Paolo Bellini. Ti racconto un fatto che ha dell’incredibile: dopo aver incontrato Magnetta, ho intervistato anche Adriano Tilgher, gli ho chiesto se era al corrente del rinvio a giudizio di Paolo Bellini – che ora è stato condannato definitivamente. Egli non solo ha negato di conoscerlo, ma addirittura di non averlo mai sentito nominare e che secondo lui non era neanche parte di Avanguardia Nazionale, quando è risaputo che Bellini era un avanguardista.


E i familiari di Mino Pecorelli come hanno reagito?
Sono andati in procura a Roma con il loro avvocato portando i miei articoli e chiedono la riapertura dell’indagini. Le stesse sono ancora in corso, e sono nelle mani del magistrato Erminio Amelio, uomo molto scrupoloso che sta cercando di portarle avanti con coraggio e determinazione. Dico con coraggio, perché i killer di Pecorelli sono vivi e parlo al plurale perché a sparare è stato un uomo, ma non è andato lì da solo, c’è una testimonianza di un certo Franco Santini, che all’epoca aveva meno di trent’anni, che stava tornando a casa dopo una giornata di lavoro. Notò tre persone in macchina, uno dei quali a quell’ora tardi – erano le 20.30 – portava gli occhiali da sole. Inoltre, gli altri due erano seduti sul sedile posteriore. L’omicidio è avvenuto dopo pochi minuti. Dopo questa testimonianza, però, non sono state fatte vedere al testimone foto segnaletiche, ne viene fatto un identikit. La sua testimonianza rimane quindi inascoltata. Purtroppo, quando ho cercato di intervistarlo la moglie mi ha detto che ero morto da qualche anno.

Quali sono stati gli errori di chi doveva indagare e non lo ha fatto o lo ha fatto male?
Primo fra tutti la scomparsa della pistola, che compariva in un verbale di sequestro di armi del 1995 fatto a Domenico Magnetta, che era dello stesso calibro di quella usata per uccidere Pecorelli. Era conservata all’Ufficio Reperti del Tribunale di Monza, perché erano state trovate a casa della sorella di Magnetta a Cologno Monzese. Quando sono andati a cercare questa pistola per fare una perizia, l’Ufficio Reperti ha detto che è stata distrutta, ma non esiste neanche un verbale che ne provi la distruzione. La pistola è scomparsa, quindi questo mi fa pensare che la strada è quella giusta, ma che purtroppo loro sono stati più veloci della Procura e che gli assassini di Pecorelli non sono stati soltanto fortunati, ma anche tanto aiutati.

Come si comportò il giudice Salvini dopo la dichiarazione di Vinciguerra?
Lui mi disse che dopo aver raccolto la dichiarazione, siamo nel 1992, mandò un fax alla Procura di Roma e lo mandò anche ad altri colleghi che seguivano come lui omicidi irrisolti ed eccellenti, come quello di Mattarella. Ma probabilmente quel fax non è andato nelle mani giuste … Dopo questa dichiarazione fatta al giudice Salvini, qualcuno ha cercato addirittura di uccidere in carcere, durante l’ora d’aria, Vincenzo Vinciguerra salvato in extremis da una guardia che si è accorta che c’era qualcosa di strano.

Qual è stata l’intervista che non dimenticherai?

L’intervista più sgradevole è quella fatta a Domenico Magnetta. Quelle di cui vado più orgogliosa sono quella a Franco Freda – perché mi ha detto delle cose molto utili e importanti – e a Fabrizio Zani – che ha collegato l’omicidio Pecorelli ai NAR e alla destra. Ha avuto il coraggio di farlo anche se ha evitato di fare il nome del killer, o meglio ha indicato come esecutore un avanguardista ormai defunto, che sicuramente non potrebbe smentire né vendicarsi. Però ha detto che è a destra la mano che ha agito. Avanguardia Nazionale e quindi Stefano delle Chiaie erano il braccio armato dell’Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D’Amato. Il mandante è lui, è chiaro che sia partito da lì.

Quali sono gli omicidi eccellenti e irrisolti in Italia?
Io credo che quelli più importanti, su cui si dovrebbe indagare anche perché collegati, sono l’omicidio di Piersanti Mattarella e quello di Mino Pecorelli, sono quelli che hanno segnato la nostra storia se ci fosse stata la soluzione di quei misteri già all’epoca il nostro Paese sarebbe diverso, avrebbe un presente diverso.

Info: Podcast disponibile nella sezione Premium Extra de Il Fatto Quotidiano, sull’App Emons e sulle principali piattaforme.

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