Fase 1 o fase 2, il Covid-19 ha cambiato tutto. Ci ha profondamente stravolto la vita: relazioni sociali, lavoro, equilibrio psicologico, sicurezze economiche. Ha trasformato il presente, ma anche il futuro. Cosa sarà dei nostri progetti e di tutti i sogni che avevamo?
Mohamad, Anita, Pushpa, Achol e tanti migranti che vivono oggi in Europa o in altri Paesi ospitanti se lo domandano tutti i giorni. Le misure restrittive imposte da molti governi per far fronte alla crisi sanitaria mondiale hanno cambiato anche la loro di vita. In molti hanno perso il lavoro. I più fortunati si sono travati con uno stipendio dimezzato.
E come fare allora per inviare denaro a casa, dove figli, fratelli, genitori o nipoti aspettano con ansia la fine del mese per avere quella piccola somma che permette loro di andare avanti? Come sopportare di aver fatto tanti sacrifici per nulla?
Secondo un rapporto della Banca Mondiale (World Bank), pubblicato il 22 aprile scorso, le rimesse dei migranti potrebbero ridursi di circa il 20% nel 2020 e le nazioni economicamente meno avanzate saranno le più colpite da questa crisi sanitaria (445 miliardi di dollari nel 2020 rispetto ai 554 miliardi nel 2019). La pandemia di coronavirus non ha risparmiato nessuno.
Tra i migranti che oggi vivono in Europa, c’è chi ha scelto di restare e attendere la “fase 2”, ovvero la graduale riapertura delle attività economiche, e c’è chi è stato costretto a tornare a casa, buttando all’aria sogni e sacrifici e ripercorrendo al contrario quella stessa strada che anni prima aveva attraversato a caro prezzo.
Fino a poco fa, parte dei guadagni di questi lavoratori all’estero era regolarmente inviata nei Paesi d’origine. Una volta nelle mani dei famigliari, questo denaro veniva speso non solo in beni alimentari e di prima necessità, ma anche in istruzione, favorendo la riduzione di lavoro minorile nelle famiglie svantaggiate. “Non posso permettermi di perdere un solo giorno di lavoro perchè mia figlia conta su quei soldi per andare a scuola e mia madre deve potersi curare da una tumore al seno “, spiega Anita, una giovane nepalese emigrata in Italia. I soldi di Anita come quelli di tanti migranti servivano soprattutto per stimolare l’economia di molti Paesi a basso e medio reddito, i loro Paesi d’origine.
Il fenomeno della migrazione internazionale (circa 272 milioni di migranti internazionali nel 2019, tra cui 26 milioni di rifugiati, secondo i dati raccolti dalla Banca Mondiale) ha implicazioni enormi per la crescita e la riduzione della povertà sia nei Paesi di origine, sia in quelli di destinazione. Crisi, guerre, globalizzazione e cambiamenti climatici hanno aumentato le pressioni migratorie all’interno e oltre i confini nazionali.
Nessuno poteva immaginare che un virus potesse generare uno scenario così drammatico. Per i Paesi in via di sviluppo le previsioni per il 2020 sono tutt’altro che buone: secondo il rapporto della Banca Mondiale le rimesse in tutto il mondo scenderanno a 572 miliardi di dollari nel 2020 da 714 miliardi nel 2019. I flussi di rimesse dovrebbero scendere in particolare in Europa e in Asia centrale (27,5 per cento), seguite dall’Africa sub-sahariana (23,1 per cento), dall’Asia del sud (22,1 per cento), dal Medio Oriente e dal Nord Africa ( 19,6 percento), America Latina e Caraibi (19,3 percento) e Asia orientale e Pacifico (13 percento).
Il rapporto della Banca Mondiale stima inoltre che gli investimenti diretti esteri nei Paesi a basso e medio reddito diminuiranno di oltre il 35% a causa del divieto di viaggiare, dell’interruzione del commercio internazionale e anche degli effetti sulla ricchezza dovuti alla riduzione del valore delle azioni di società multinazionali.
La Banca Mondiale sta collaborando con i Paesi del G20 e la comunità globale per ridurre i costi delle rimesse e migliorare l’inclusione finanziaria per i poveri.
Nel 2021, si prevede che le rimesse nella regione si riprendano, sebbene ad un ritmo lento. Ma oggi più che mai si vive alla giornata, senza sogni e senza progetti. Troppe sono ancora le incertezze.