Ho ricevuto molti messaggi da parte vostra, che mi incoraggiavano a non avere paura, dopo l’attentato a Charlie Hebdo e ho deciso di seguirli, essere positiva, avere fiducia.
Continuo a leggere orribili articoli scritti ad arte per confondere pelosamente i già confusi e dove, senza troppi giri di parole, in uno stesso, grande calderone, vengono gettate paure, ovvietà, luoghi comuni, verità, mezze verità e vi viene dato fuoco con la miccia dell’ignoranza. Ma questa è ormai la norma, mentre la rete, e centinaia di persone che vi riversano sopra la loro rabbia e le loro frustrazioni, sono il brodo di coltura della diffidenza che monta senza fermarsi.
A tutto questo si aggiungono adesso i consigli per famiglie o amici affinché si possa segnalare il “pericolo islamista” per prevenirlo in tempo. Come? Ecco il rimedio. Ho appena ricevuto da un’amica che vive a Parigi lo screeshot di una pagina on line del governo francese che si riferisce al programma “Stop Djihadisme – Agir contre la menace terroriste”.
La pagina spiega con una certa chiarezza e sei simpatiche infografiche come allertarsi in caso di improvvisa virata dei propri adolescenti verso “la radicalizzazione jihadista”.
I primi segni in base ai quali converrebbe allertarsi rispetto ad amici, conoscenti, figlioli et similia sarebbero i seguenti e se ne dovrebbero presentare almeno due insieme: 1. allontanamento dai propri, comuni amici accampando come scusa i loro comportamenti “impuri”; 2. rifiuto di dialogo con alcuni membri della famiglia; 3. cambio brutale di abitudini alimentari; 4. abbandono della scuola o della formazione professionale con la convinzione di essere vittime di un complotto; 5. rifiuto di ascolto della musica 6. insofferenza alla vista in tv o al cinema di immagini non permesse o licenziose; 7. rifiuto di esercitare attività sportive in ambienti misti; 8. per le donne, modificare il proprio abbigliamento con degli abiti che coprano maggiormente il corpo; 9. frequentare assiduamente siti o leggere testi a carattere radicale o estremista.
Il vademecum avvisa che “ogni situazione è a sé e che il riconoscimento di uno o più segni non implica sistematicamente una radicalizzazione”. Se ci fossero dei dubbi, il governo fornisce un numero verde.
Non so davvero come si possano trovare degli strumenti preventivi alle radicalizzazioni della gioventù, se non avendo accanto genitori con il sale in zucca, la capacità di essere essi stessi piani di equilibrio, inseriti nella società dove si vive, in condizioni economiche buone o abbienti, con una educazione medio-alta ed europea. Ma il vademecum comunque mi inquieta e mi chiedo quali psicologi sociali lo abbiano architettato. Mi dà l’idea che possa essere mediamente semplice scambiare una scelta come potrebbe essere la conversione all’Islam come una porta all’estremismo, alla radicalizzazione al terrorismo.
Chi si converte seriamente all’Islam in modo abbastanza naturale farà almeno tre cose: cambierà abitudini alimentari, se donna vestirà meno attillata, probabilmente non frequenterà corsi di nuoto o spiagge miste. Basterebbero questi soli tre elementi a bollarlo/bollarla come un “estremista”? Non è un vademecum un po’ esagerato? Non rischia di creare in automatico l’equazione convertito=estremista=terrorista?
Io continuo a chiedermelo, mentre la mia amica, che vive in Francia, ne è quasi certa, soprattutto da quando nel Paese c’è chi insiste per istituire la giornata della laicità, quasi come fosse l’unica nuova divinità della Repubblica. Chissà cosa ne direbbe invece quell’altra che mi ha negato la sua amicizia per sempre per via del mio marito musulmano: non datele in mano il vademecum, già la vedo comporre il numero verde, allarmata.