Nuova serie. Dopo la strage di Parigi, la paura

Aziza_slider_240x440A distanza di un paio di giorni dalla strage di Parigi, vi confesso che mi è passata la voglia di scrivere. Perché preferisco ragionare e perché ho paura. E quando ho paura, ragiono con poca lucidità. E allora ho preferito il silenzio e mi sono chiusa in casa. Perché, come sempre in questi casi, una solidarietà emotiva che qualcuno ha chiamato “idiota” si impadronisce delle masse. E via tutti a marciare, brandendo ashtag uguali e contrari: #jesuisicharlie #jesuisahmad #jesuisunenfantssyrienmortdefroid #notinmyname #iononsonoinguerra.

Cosa rimarrà di queste adesioni sull’onda dello sdegno, della tristezza, della compassione, del risentimento, della difesa dell’identità, del diritto alla libertà di critica, espressione, religione? Rimarrà la vita quotidiana da una parte e la geopolitica dall’altra. Come al solito.

Ma mi chiedo se, stavolta, in Europa potrebbe non essere più come prima. Soprattutto per persone come me, come noi. Perché finché parli di diritti, ti agiti in ambienti parrocchiali o radical chic, fai l’elemosina o ti batti per l’accoglienza ai migranti, tutto va bene. Ma quando la tua vita rappresenta ed è essa stessa questa accoglienza, sfida, follia di credere che due culture possano vivere e convivere insieme nella stessa casa, fino a benedire questo rapporto con un legame eterno, fino a farlo fruttare con dei figli, ecco che il teatrino della solidarietà a parole si sfalda.

Troppe volte io e mio marito – un arabo musulmano poliglotta – abbiamo visto vecchi amici, da una parte e dall’altra, criticarci o sconsigliarci prima della scelta fatta. E, a scelta fatta, abbiamo toccato con mano i razzismi nella mia e nella sua terra di origine perché andar fuori dagli schemi, provare a costruire qualcosa di nuovo, unico e concreto nell’unione fisica tra un uomo e una donna è uno scandalo per tutti, nessuno escluso. Abbiamo assistito anche alle defezioni di qualcuno che credevamo amico dall’infanzia, qualcuno che ha deciso di negarci per sempre la parola perché avevamo dato seguito a questa scelta d’amore fino in fondo, tutto ciò senza che l’ex amico o amica abbiano mai incontrato la nostra rispettiva metà.

Per la prima volta oggi, dopo anni in cui ci confrontiamo con le nostre personali difficoltà e con una società che ci accetta come una eccezione esotica, ho il dubbio, condito da grande paura, che a noi si richiederà uno sforzo sovrumano. Se un arabo musulmano oggi si sente chiedere di giustificarsi di fronte alla strage dei vignettisti di Charlie Hebdo, cosa chiederanno a me, europea, che ne ho sposato uno? Se prima di quanto accaduto tre giorni fa, gli xenofobi dicevano di noi donne europee delle coppie miste che siamo delle “poverette disadattate”, cosa arriveranno a dirci domani? Ci diranno che siamo complici di un “islam terrorista e tagliagole”? E cosa diranno ai miei figli? Li chiameranno “bastardi”?

Sono sempre stata fiera di essere europea e ho convinto mio marito che questo era il posto più sicuro, con secoli di cultura, tolleranza ed equilibrio alle spalle per potere vivere in pace e crescere i nostri figli, anche lontani da un modello americano che non ci appartiene. Mio marito ci ha creduto, mi ha creduto. E si è preparato ad adattare la sua cultura e la sua vita qui e lo fa ogni santo giorno. Ma come mi dovrò giustificare, adesso, io verso di lui e, di più, verso i miei figli se, un giorno, sull’autobus li additeranno come “i bastardi della cagna filo-islamica”?

Rispondetevi voi e aiutatemi a non avere paura, per favore. Aiutatemi a pensare che possiamo – tutti, nessuno escluso – restare ancora umani.

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1 Comment

  • capberg

    Carissima so che la situazione al giorno d’oggi è critica e che noi i musulmani la stiamo subendo sulla nostra pelle ti consiglio anche a me stesso di invocare la strada della pace e la pazienza come dice il corano (In verità per ogni difficoltà c’è una facilità)

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