Mentre scriviamo, nelle strade di Bamako in Mali, si festeggia la liberazione dall’incubo jihadista ad opera delle forze francesi.
MY TRUTH – Il Mali è solo uno dei Paesi cui guardano con attenzione le aziende occidentali. Assieme a Senegal, Guinea, Ghana, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Camerun compone la cosiddetta “fascia dell’oro”. Se vogliamo comprendere i movimenti militari delle potenze occidentali in Africa, dobbiamo tenere d’occhio gli accordi commerciali stretti tra questi Paesi e le multinazionali delle materie prime.
L’azione militare è cominciata il 16 gennaio, quando la Francia ha schierato le sue forze di terra nel Paese africano dando il via allo scontro con i ribelli islamici, ma la crisi politica era esplosa nel marzo dell’anno scorso con l’occupazione del nord del Mali da parte di gruppi fondamentalisti islamici.
Saliti al potere, i ribelli avevano immediatamente imposto una rigida interpretazione della sharia alla popolazione. Il presidente francese Hollande, all’epoca, rilasciava dichiarazioni e non interventiste, rifiutando addirittura di correre in soccorso del presidente della Repubblica Centroafricana Francois Bozizi, preoccupato dall’avanzata dei ribelli verso la capitale.
“Non siamo disposti più a proteggere un regime“, le ultime parole famose del presidente francese. Quando, infatti, i gruppi islamici affiliati ad Al Qaeda hanno lanciato un’offensiva verso sud, vincendo senza troppe difficoltà la resistenza dell’esercito maliano e minacciando di raggiungere la città di Mopti e poi la capitale Bamako, l’azione militare è stata inevitabile, supportata anche da una risoluzione Onu approvata all’unanimità. Ma sì sa, tutti parlano, poi il gioco sporco lo fanno coloro che rischiano di più. E cosa ha da perdere in Mali la Francia?
Se Bamako fosse caduta in mano ai ribelli, con il conseguente rischio di destabilizzazione di tutta l’Africa occidentale, Hollande sarebbe stato ritenuto il principale responsabile a causa della sua politica non-interventista e dunque alleato non più affidabile dei Paesi africani francofoni. Ma soprattutto avrebbe messo a rischio gli interessi economici francesi nel vicino Niger, fonte primaria di uranio per l’industria nucleare d’oltralpe. E proprio nella necessità di ampliare le fonti di approvvigionamento di tale minerale, per non dipendere esclusivamente da un solo Paese, si può rintracciare una delle ragioni principali dell’intervento militare francese.
Nell’ovest del Mali è stato infatti trovato recentemente un grosso giacimento di uranio che si aggiunge agli altri tesori nascosti nel sottosuolo: oro, petrolio, fosfato, rame, bauxite, diamanti, pietre preziose e gas naturale (a Bourakebougou, 60 chilometri da Bamako, si trova un giacimento di idrogeno puro al 98 per cento, molto raro).
Il presidente del Mali Amadou Toumani Touré, prima di essere destituito dal golpe militare, aveva cominciato a distribuire i diritti di esplorazione per tutto il Paese. E da allora, nonostante l’instabilità politica, molte multinazionali del settore delle materie prime esplorano sistematicamente il sottosuolo in cerca di giacimenti. Tra queste: Arckmore Energy, Selier, Sipex, Sphere Petroleum, Petroma, Glencore, Falcon Martagon, Terralliance Petroleum, Oranto Int. Petroleum, Moh Oil Private, Tinc Petroleum, Eni.
Guarda caso mentre la nostra compagnia petrolifera è all’opera, l’Italia prontamente fornisce supporto logistico all’azione militare francese. Per questo invito a fare il giochino di risalire a quali Paesi appartengono queste compagnie: troverete una strana coincidenza con gli Stati che hanno schierato in campo i loro eserciti. Ma siamo solo all’inizio: dal punto di vista strategico militare cresce il timore di un nuovo Afghanistan, da quello economico l’attesa per le mosse di un Paese come la Cina, che attualmente controlla più di un quarto i tutti gli scambi commerciali del Mali.