MILANO – Kristalina Georgieva direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale. Janet Yellen, già a capo della Federal Reserve, Segretaria al Tesoro. Jane Fraser presidente di Citigroup, l’organizzazione di servizi finanziari più grande del mondo. Christine Lagarde al vertice della banca centrale Europea. Ursula Von Der Leyen presidente della Commissione Europea e in quanto tale tenuta (di concerto con specifici uffici preposti) a stabilire le priorità di spese dell’UE, preparare i bilanci annuali, controllare l’utilizzo dei fondi.
Sta forse – e finalmente – incrinandosi, il “soffitto di cristallo” contro cui si sono inesorabilmente infrante le carriere della donne nell’alta finanza?
“Qualche indizio in questo senso c’è”, risponde Lilia Beretta, laurea in Scienze Politiche, consulente finanziaria con lunga esperienza in banche italiane ed estere, autrice di libri di divulgazione finanziaria editi da Franco Angeli (Gli zecchini di Pinocchio e Le sciatò a Bordò).
“Fino a poco tempo fa era impensabile trovare donne ai vertici di aziende importanti, nei Consigli di Amministrazione, fra i Gestori di Fondi di Investimento. Secondo la teoria finora più accreditata, le donne raggiungono infatti il livello di competenza e anzianità indispensabili per avanzare di ruolo solamente a un’età in cui generalmente decidono di avere un figlio o una famiglia; la conseguente esigenza di maggiore elasticità, di un lavoro più flessibile, finisce per allontanarle dai vertici.
A smentire questa ipotesi, il dato che le nuove norme rendono flessibile anche il congedo di maternità e che il lavoro, attraverso gli odierni mezzi di connessione, può essere tranquillamente svolto pur non essendo fisicamente presenti in azienda”.
Sia come sia, crescono le presenze femminili nell’ambito della finanza pubblica e privata, aumenta il numero di donne insignite di riconoscimenti prestigiosi. Tu stessa del resto segui abitualmente stage presso le maggiori case di investimento intercontinentali e nel 2019 hai vinto il premio Bluerating Awards.
“Una grande spinta a valorizzare il lavoro femminile e a raggiungere l’eguaglianza di genere viene dall’ONU, specificamente è uno dei 17 obiettivi che si prefigge l’Agenda 2030 intitolata “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”.
In generale, le donne sono state le prime a credere ai temi di sviluppo sostenibile – Environment, Social, Governance (ESG) – che oggi da investimenti di nicchia si sono tradotti in trend irreversibili. In questo settore si accrescono i fondi gestiti da donne. Sta aumentando anche il numero delle consulenti finanziarie, pur se tuttora non superiamo il 17% delle persone iscritte all’Albo. Intanto, dati unanimi indicano che le aziende con un Consiglio di Amministrazione paritetico ottengono i migliori risultati”.
Dunque le politiche di inclusione (non solo per quanto riguarda le donne) si rivelano vincenti, non soltanto per le aziende. E fra gli investitori cosa succede?
“Fino a qualche decennio fa erano esclusivamente gli uomini a pianificare il risparmio e gli investimenti famigliari. Ora sono sempre di più le donne: e noi tendiamo a privilegiare prodotti realizzati nel rispetto delle condizioni di lavoro e dell’ambiente (in senso ecologico e non soltanto), vogliamo approfondire bene in cosa stiamo investendo, seguiamo con molta attenzione i prodotti pensionistici perché spesso è necessario costruire un’integrazione a redditi decisamente bassi”.