Il 4 ottobre scorso, molti francesi si sono dati appuntamento a Parigi, nel settimo arrondissement, per iniziare una marcia di solidarietà contro le violenze dello Stato islamico (Daesh o Isis) sugli abitanti della città curda Kobané, in Siria.
Cori unanimi si sono sollevati lungo le strade, dove la gente innalzava cartelli con messaggi chiari: “Au nom de l’humanité, la France doit agir !“, “Les Kurdes de Syrie laissés seuls dans la lutte contre Daesh“, “Alerte genocide des kurdes Yezidis“, “Un massacre a lieu à Kobané ! Qu’attendez-vous pour agir ?“.
Il Bistrot parisien era chiuso durante la manifestazione, ma nei giorni che l’hanno preceduta e in quelli successivi si è discusso molto su l’Etat islamique, sulla tragica morte della guida alpina francese Hervé Gourdel – decapitato in Algeria dal movimento Jund-al-Khilafa, affiliato all’Isis, il 24 settembre scorso -, sulla città di Kobané, assediata dagli jihadisti, e, soprattutto, sulla risposta dell’Occidente, in particolare della Francia, ma anche degli Stati Uniti e della vicina Turchia.
Kobané è, infatti, la scintilla che ha riacceso il conflitto curdo in Turchia, dove l’Isis è forse considerato il male minore rispetto al fuorilegge PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan.
La Francia sta vivendo un momento di inquietudine. La minaccia di un’azione terroristica nel Paese e l’elevato numero di giovani francesi partiti a combattere a fianco degli jihadisti non sono certo segnali positivi e tantomeno da sottovalutare. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, quasi mille persone residenti in Francia sono coinvolte: 353 sono attive nei combattimenti, 174 sono in partenza per il fronte, 189 sono di ritorno o già rientrati, 232 hanno l’intenzione di partire.
“Non voglio che mio figlio vada a scuola in metropolitana. In questi giorni lo accompagno io in macchina o gli faccio prendere l’autobus”, dice un padre allarmato. Ma per chi non possiede un automobile, non è facile cambiare le proprie abitudini quotidiane e muoversi a Parigi senza utilizzare i mezzi pubblici.
“Mi hanno detto di stare lontano dai luoghi turistici!”, afferma uno straniero in visita a Parigi, mentre tiene in mano una mappa della città e i pass per accedere ai musei.
La capitale è in stato d’allarme. I servizi di sicurezza sono stati rinforzati, la polizia si muove discretamente in bicicletta, a cavallo, a piedi e i cittadini lo vedono o lo percepiscono. Ma i francesi si sentono veramente al sicuro?
“Djihadisme. La France mal protégée” è il titolo che il settimanale L’Express ha scelto per la copertina del primo ottobre, con un numero dedicato allo jihadismo. La gaffe degli 007 francesi, che il 23 settembre scorso aspettavano nell’aeroporto sbagliato tre jihadisti di ritorno dalla Siria attraverso la Turchia per arrestarli, non è stata dimenticata dai francesi, i quali ricordano che lo stesso giorno il sistema Cheops di controlli dei dati incrociati, anche dei ricercati, è andato in tilt per oltre due ore. Ma il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, è fiducioso e convinto che sia possibile fare una guerra contro il terrorismo. Bisogna prendere le giuste precauzioni e muoversi d’anticipo. Una guerra di anticipazione, dunque, che, però, come tutte le guerre, non può essere a rischio zero.
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