Un incontro storico che potrebbe cambiare gli equilibri politico militari del Medio Oriente. E’ quello che si è svolto giovedì 18 novembre al Cairo tra i ministri degli Esteri e della Difesa russi, Sergei Lavrov e Sergei Shoigu, e il nuovo raìs egiziano Abd al-Fattah al-Sisi.
Al generale spetta il compito di ridisegnare le alleanze internazionali per consolidare definitivamente il proprio potere nel Paese e tale operazione passa soprattutto attraverso la politica militare.
MY TRUTH – La Russia sta capitalizzando tutti gli errori della politica estera americana in Medio Oriente: da una parte il successo della sua iniziativa sulle armi chimiche della Siria, dall’altra la crescente presenza ai colloqui sul programma nucleare iraniano sono i segnali del suo ritorno come grande potenza. E l’Egitto non ha intenzione di perdere questo treno.
Quando, a fine ottobre scorso, gli Stati Uniti hanno sospeso gli aiuti e le forniture di armi all’Egitto, Mosca non ha atteso un minuto di più e ha proposto subito ai possibili acquirenti un menu fatto di consistenti forniture militari: aerei da combattimento, elicotteri, sistemi di difesa aerea evoluti, pezzi di ricambio e anche l’ammodernamento delle attrezzature militari acquistate in passato dall’Egitto.
Si tratta di una sorta di ritorno al passato. A partire dal 1950 fino alla fine degli anni ’70, l’Egitto di Gamal Abd el-Nasser e Anwar al-Sadat ricevette grandi quantità di armamenti dall’ex Unione Sovietica e li adoperò contro Israele nella guerra del 1973. Non solo, l’ex Urss finanziò anche importanti infrastrutture come ad esempio la diga di Assuan.
Poi, nel 1979, dopo la firma della pace con Israele, l’Egitto venne ricompensato dagli Stati Uniti con una cifra annuale di 1,3 miliardi di aiuti militari ed economici. Una mossa strategica per avvicinare così Il Cairo a Washington e allontanarlo da Mosca. Ma ad ottobre l’idillio con gli americani si è rotto. Ufficialmente si parla di misure precauzionali di attesa di un consolidamento in direzione democratica da parte del Cairo. In realtà, dopo aver sostenuto finanziariamente i governi vicini ai Fratelli Musulmani in Medio Oriente, deposto l’ex Presidente Mohamed Morsi, l’amministrazione di Obama sta cercando di riposizionarsi politicamente.
Stessa strategia dietro l’apparente “generosità” di Mosca. L’ex Unione Sovietica lo ha palesemente dimostrato nei giorni delle trattative volte ad evitare un attacco americano su Damasco e dintorni. Continua a confermarlo oggi, quando ormai si è elevata a status di protettore degli interessi delle nazioni arabe.
Probabilmente non riuscirà nel tentativo di operare una sostituzione integrale del ruolo che gli Stati Uniti hanno ricoperto e ricoprono ancora in gran parte nel Medio Oriente. Ma, secondo il governo russo, vale certo la pena tentare di espandere la propria influenza in quello che è visto oggi come uno dei mercati più interessanti al mondo. A cominciare proprio dagli accordi commerciali: armi, innanzitutto, ma anche grano, di cui la Russia è imbattibile esportatore e di cui Il Cairo ha un crescente bisogno.
Il generale Al Sisi sa bene che l’Egitto, al momento, ha le casse vuote e non può certo permettersi un ordine da almeno 2 miliardi di dollari, come quello proposto dai ministri russi. Per onorare quell’eventuale debito, avrebbe bisogno che Mosca gli facesse credito. Ma la politica russa prevede di fornire armi a titolo di credito soltanto ai Paesi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO, di cui fanno parte Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia), cioè quelli che cooperano con il Cremlino in funzione anti-terrorismo e per lo più contro le minacce provenienti dall’Afghanistan e dalle ex Repubbliche caucasiche.
In soccorso giungerebbe l’Arabia Saudita, in funzione anti americana, che avrebbe già offerto al Cairo un prestito consistente per acquistare senza problemi le armi di cui le Forze Armate egiziane hanno urgente necessità. Un giorno, pensano a Riad, qualcuno gliene sarà grato.
Tuttavia la mossa del governo egiziano da una parte è un chiaro segnale all’amministrazione Obama affinché rifletta attentamente prima di prendere provvedimenti nei confronti dell’Egitto, dall’altra è plausibile che Il Cairo voglia tenersi più porte aperte anche in vista dei possibili mutamenti politico-strategici in Medio Oriente, soprattutto per quanto riguarda la situazione siriana e il nucleare iraniano. In aggiunta sarebbe controproducente per gli Stati Uniti stessi perdere l’Egitto, un alleato storico e fondamentale sullo scacchiere mediorientale.
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