EGITTO/Un giardino nella Città dei Morti

 

Sono partiti per visitare un cimitero, sono tornati come quelli che si sentono vivi. Ancora più vivi. Barbara Urbano e Claudio Cescutti (una video-maker, un fotografo) non erano pratici di Medio Oriente. Adesso, di quelle immagini di vita quotidiana – minareti al tramonto, arene polverose, mausolei tra le lapidi – registrate al Cairo nel video Dentro la città dei morti – ne hanno nostalgia dal vivo. E non vorrebbero essere tornati indietro.

LA MIA VERITA’ – Per non guardare a chi vive negli slums come a degli umani meno uomini. Perché una pianta che cresce è sempre una speranza che nasce.

“Vorremmo essere rimasti lì, per capire come stanno tutte le persone che abbiamo incontrato, per vedere cosa sta succedendo dopo piazza Tahrir: sappiamo che alcuni di loro hanno abbandonato i loro rifugi e che nuovi inquilini hanno preso il posto dei vecchi”. Barbara Urbano ha l’aria del Cairo appiccicata addosso. “La confusione che regna nella capitale egiziana non può non stimolare la creatività”. E nel video, questo senso di stupore, colto nell’immenso cimitero che si apre nel ventre del Cairo, si avverte. E’ stampato sui volti degli abitanti dei hosh (le tombe a patio), disseminati su 7,6 chilometri quadri di superficie. Si vede dal modo con cui uomini e donne accarezzano le piante che i volontari portano in loco.

Urbano e Cescutti, nel loro mese al Cairo, hanno reso ancora più visibile il lavoro di Gaetano Berni, un architetto arrivato in Egitto con l’associazione Live In Slums per un progetto che tratta di riqualificazione urbana e turismo sostenibile, anche attraverso gli orti. Barbara e Claudio ne hanno fatto un video, disponibile sul sito Produzioni dal basso (il trailer è anche su vimeo).

Tutto è cominciato nel 2007, quando Berni, i fotografi Francesco Giusti e Filippo Romano e la regista Silvia Orazi hanno visitato la Città dei Morti, l’area più controversa di una megalopoli da quindici milioni di abitanti. Qui hanno trovato rifugio, negli ultimi decenni, almeno 800mila persone, tra poveri, senzatetto ed eredi dei custodi delle tombe. Le case sono ricavate all’interno dei monumenti, piccoli mausolei vecchi di secoli. Ci sono anche strutture importanti come la moschea di Qaytbey, ma rimangono una realtà isolata. Dopo piazza Tahrir qualcosa è cambiato: la Città dei morti ospiterebbe molte più persone delle stimate, altri senzatetto, ex prigionieri nelle carceri di Mubarak ed è ritornata a essere una zona offlimits per chi si voglia addentrare in città.

La Città è uno tra gli slum più grandi del mondo. Per risolvere il problema degli occupanti, le autorità locali avrebbero elaborato, sul lungo periodo, una soluzione radicale: radere al suolo intere sezioni del cimitero. Questo è il piano urbanistico noto come piano Cairo 2050. Live In Slums suggerisce una soluzione alternativa: un’azione di difesa e rivalutazione turistica dell’area, da rendere più verde e sicura.

Un tassello di questo piano sono proprio gli orti in cassetta, realizzati con materiali di recupero come vecchi copertoni o contenitori di plastica. Questo è il progetto dei micro-jarden. La sperimentazione prende il via nel 2010 con una decina di famiglie dello slum. L’idea è quella di stimolare lo sviluppo di piccole reti agricole e commerciali. Oltre al contributo scientifico dell’agronomo Tommaso Sposito e della paesaggista Elisabetta Bianchessi, alla stesura del progetto hanno collaborato architetti, urbanisti e antropologi, di università egiziane e milanesi.

Il sistema degli orti targati Live In Slums è pensato per rispondere alle esigenze degli abitanti della città informale. I micro-jarden garantiscono un risparmio d’acqua del 20% rispetto all’agricoltura tradizionale. Inoltre sono trasportabili, e non hanno bisogno di terra (spesso inaccessibile, a Città dei Morti, perché occupata dalle sepolture). Per accogliere le radici delle piante è predisposto un substrato inerte, alto dodici centimetri, formato a piacere da torba, gusci d’uovo, bucce di arachidi, sabbia o granuli di roccia vulcanica.

Decisivo per il successo dell’impresa resta comunque il clima. Esclusi luglio e agosto, quando le temperature sono troppo elevate, le piante al Cairo crescono a velocità superiore rispetto all’Italia. Così le famiglie della zona, con i micro-jarden piazzati nei cortili o sui tetti, hanno iniziato a scambiare e rivendere gli ortaggi in eccesso. Il desiderio di coltivare melanzanee pomodori ha iniziato a diffondersi. E, adesso, spetta agli “abitanti tra i morti” portare avanti questo progetto.

Barbara e Claudio, che hanno filmato questo percorso per un mese, che ogni giorno entravano in Città e che hanno anche il pollice verde nella vita, a questo progetto hanno creduto e continuano a crederci. Al punto da infiammarsi per una seconda tappa di viaggio di Live In Slums, destinazione Kenya. Obiettivo: costruire una scuola per i bambini della baraccopoli di Matharè, nella capitale Nairobi.

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