Puntualizzare delimitazioni geografiche sarebbe insensato, specialmente nei confronti della musica elettroacustica, che della musica tutta sublima anzi la qualità somma, esemplare e benedetta: l’assenza di confini, del concetto stesso di confini. “Le reazioni del pubblico alle composizioni di questo tipo”, riflette Adel Karanov, “sono legate ai diversi modi con cui le società si rapportano al nuovo. Ad esempio nei Paesi latino americani, di fronte a performance sconosciute gli spettatori paiono più che altro cercare occasioni e ragioni per gioirne; in molte parti d’Oriente, invece, reazione diffusa sembra una sorta di curiosità positiva, la consapevolezza di un’esperienza particolare e la voglia di farne tesoro”.
E nei nostri Paesi mediterranei?
“L’ascolto di musiche tradizionali rimane nettamente privilegiato, pur non mancando gli estimatori del genere elettroacustico; soprattutto ci sono compositori e studi di fonologia di assoluto prim’ordine. Ma il Mediterraneo è importante principalmente come scrigno di sonorità e suggestioni. Della infinita gamma di suoni possibili e immaginabili utilizzati dalla musica elettronica, non tutti sono necessariamente sintetici, ma sovente vengono mischiati e/o affiancati con quelli di strumenti reali (tradiaizionali, classici o popolari), adeguatamente manipolati. Le sponde nord e sud del Mediterraneo sono uno scrigno sia di percussioni e di strumenti a corda, sia di echi, ricordi, nostalgie, sogni, miti, sensazioni. Tanto che per denominare determinati suoni, parecchie case di sintetizzatori usano richiami antichi e fantasticati come il deserto, la Mesopotamia, l’Egitto, la Palestina, fino a reminiscenze delle culture greca, spagnola, italiana”.
Questi nomi possono diventare anche titoli di composizioni?
“Finora ho designato solamente determinati banchi di suono, cioè strumenti complessi e fantasiosi, capaci di riassumere e impastare i più disparati filoni ambientali e/o emotivi. Che so, un pizzico di “rumore rosa” filtrato in un certo modo per ricordare il vento del deserto, alcuni accordi di basso con un apporto di corde per evocare l’Oriente, e poi visioni di una sfinge o di una piramide o di un mur o di giardini o magari di maschere e quant’altro. Chiaro che sta poi al compositore scegliere fra un tale turbinio di elementi, combinarli in modo che trovino un senso, una bellezza”.
Alcuni temono un progressivo e gigantesco amalgama (non soltanto) culturale, che nel tempo finirà per spersonalizzarci
“No, basta frequentare un poco i Social per constatare che stiamo andando nella direzione opposta. In realtà è in corso un totale smembramento di tutto quanto sembrava essere fatto a placche. Finora un determinato tipo di musica infatti corrispondeva in modo abbastanza rigido all’area di cui era originario, oggi i Social stanno cambiando tutto: che so, una canzone giapponese fino a poco tempo considerata impensabile da proporre al mercato italiano, può finire fra le nostre preferite…Questo è frutto dell’individualismo, di casualità, di coincidenze. Esattamente il contrario dell’appiattimento, che semmai avviene sul fatto che tutti “dobbiamo” possedere un i-phone un tablet un account facebook ecc.”.
Non è che “dobbiamo”: è che questi aggeggi ci servono
“Dipende. Se fai il libero professionista e viaggi, le nuove tecnologie non solamente ti facilitano la vita, ma sono indispensabili; se vivi in campagna coltivando fiori e dipingendo, puoi farne a meno!”.