“Horreyya!” è il titolo del libro di Valeria Brigida, scritto in collaborazione con Carmine Cartolano. Horreyya, cioè libertà, è quello che urlavano in piazza Tahrir al Cairo le donne e gli uomini egiziani, che incitavano a ribellarsi al regime del “faraone Mubarak“. Il 25 gennaio scorso, l’anniversario dell Rivoluzione, l’Egitto è tornato ad accendersi, questa volta contro Mohamed Morsi, il primo presidente egiziano democraticamente eletto. Nelle vie e nelle piazze sono ancora in tanti a gridare Horreya. Il libro è il racconto di quest’urlo, che squarcia le strade del Cairo ( e non solo). E’ la storia di quelle donne che hanno guidato la rivolta: donne coraggiose che non si sono piegate.
Non le chiedo come è nata in lei la voglia di raccontare, perché la trovo implicita nel sottotitolo del suo libro “se non ora quando?”. Vorrei però chiederle cosa l’ha spinta a rischiare la sua incolumità per incontrare queste donne?
Pur essendo una giornalista che ha già avuto esperienze in altre zone “calde”, come il Libano, Siria ed altri Paesi del Nord-Africa, questa volta non ero in Egitto per lavoro, ma per incontrare un professore inglese per le mie ricerche sulle migrazioni in Italia. Il caso ha voluto che in piena “primavera araba” io incontrassi delle donne molto speciali. E proprio la voglia di capire le loro storie mi ha spinto ad approfondirne la conoscenza. Alla fine del 2011, durante la seconda parte della Rivoluzione egiziana, quando già mi trovavo a Londra sempre per le mie ricerche, attraverso i social network quelle donne, che ormai erano diventate mie amiche, mi hanno fatto un appello: “fai sì che le storie che ti abbiamo raccontato non cadano nel vuoto”. Io vedevo quello che continuava a succedere al Cairo, gli scontri che non cessavano e i morti che aumentavano. E quindi l’idea del libro è stata una specie di rivalsa per quelle ragazze, che lottavano per la loro “libertà” e che non volevano essere dimenticate. Il libro però non è solo la loro storia, ma anche la mia e quella della mia generazione (la scrittrice è appena trentenne) all’interno di una Europa, che, attraverso la crisi economica, ma anche istituzionale, politica e sociale, sta vivendo grandi trasformazioni. Quello che io ho visto in Egitto è palpabile anche in Europa, con i movimenti di protesta in Italia, in Spagna, in Grecia e più genericamente nello spazio euro-mediterraneo. Secondo il mio punto di vista c’è un’assonanza tra quello che succede a nord del Mediterraneo e quello che succede a sud di esso. Questo libro rappresenta una sorta di condivisione di ideali e anche, perché no, di voglia di libertà!
Nel libro scritto in collaborazione con Carmine Cartolano, lei descrive il vostro incontro. Vuole anticiparlo ai lettori di FocusMéditerranée?
Carmine Cartolano è stato per me un aiuto prezioso e un punto di riferimento in Egitto. Io non conoscevo Carmine. Mi era stato consigliato da una cara amica di rivolgermi a lui appena giunta al Cairo e così ho fatto. L’ho incontrato all’inaugurazione della sua mostra “If”. Cartolano, oltre a insegnare all’Istituto di Cultura Italiana, è anche un artista. Le sue opere sono una sorta di collage tra disegni e foto. Tra l’altro la mostra è stata molto discussa perché una delle opere ritraeva Mubarak in posa da clown. Da questo incontro è nata un’amicizia ed è cominciata la nostra collaborazione. Il suo apporto è stato prezioso: in quanto profondo conoscitore della cultura egiziana, è riuscito a introdurmi e a farmi conoscere le persone che in quel momento vivevano in prima persona la Rivoluzione.
Le donne egiziane che lei ha incontrato in cosa sono diverse e/o uguali a noi donne “occidentali”?
Personalmente devo ancora capire cosa significhi essere “occidentali”. A Londra, ad esempio, io non mi sentivo a casa – eppure è Occidente – mentre mi sono sentita subito a mio agio in Egitto. Io mi sento “mediterranea”, non occidentale. Quindi non riesco a fare una differenza così netta tra me e loro, perché le considero mediterranee come me. Sicuramente ci sono delle differenze di cultura e di tradizione, che dipendono non solo dall’area di appartenenza, ma anche dall’educazione ricevuta. Forse rispetto a “noi donne occidentali” sono più determinate e tenaci.
L’”Occidente” vede spesso la “donna araba” come una figura sottomessa. Secondo lei, riusciremo mai ad uscire dagli stereotipi? Se sì, quali suggerimenti avrebbe in merito?
Vorrei raccontarvi un piccolo aneddoto che credo faccia capire come ci fermiamo spesso davanti alle apparenze. Ho incontrato naturalmente molte donne velate ma anche non velate e credenti. La mia solita curiosità mi ha spinto a chiedere a Sara, che poi è una delle protagoniste del libro, come mai non portasse il velo pur essendo credente. Lei mi ha candidamente risposto: “Ma perché? Tutti i cristiani in Occidente sono obbligati a portate la croce al collo?”. Per ciò che riguarda la sottomissione delle donne, siamo sicuri che questo valga solo per i cosiddetti “Paesi non occidentali”? In Egitto, la maggior parte delle donne lavora, il loro ruolo nel nucleo familiare è centrale. Naturalmente adesso, dopo la Rivoluzione, la disoccupazione è aumentata, ma, per fare un parallelismo, anche in Italia non si scherza ,e riguarda soprattutto le donne.
Secondo lei, gli eventi attuali stanno tradendo la “rivoluzione”? Le giovani donne egiziane si sentono tradite?
A volte sì! Le amiche egiziane, che sento, passano momenti di sconforto e disillusione. Ma il ricordo dei martiri della Rivoluzione dà loro forza, perché si rendono conto che la Rivoluzione non è solo rovesciare il regime, ma è un processo lento che va nutrito ogni giorno per arrivare a conquistare veramente la democrazia e la libertà. E’ un lavoro faticoso e lungo. C’è questa consapevolezza di non poter avere tutto e subito, ma che ci vuole un impegno civile costante, che non devono stancarsi.
L’attuale presidente Morsi potrà essere una valida alternativa al vecchio regime?
Non credo che lo sia, ma fa parte di quel processo lento di democratizzazione di un Paese che esce da una lunga dittatura. Bisogna inoltre ricordare che c’è una gran parte del vecchio potere che non è stato ancora del tutto debellato. Accompagna anche Morsi, in particolar modo il potere dell’esercito, che è molto forte. E non dimentichiamo la pressione religiosa che si sta facendo, soprattutto sugli strati più poveri della popolazione. Io, come donna, non posso provare simpatia per un uomo che porta avanti una visione femminile da fine Ottocento.
Tra le riforme in corso (o non in corso), il presidente Morsi si sta occupando anche delle donne e dei loro diritti?
Si sta occupando delle donne, ma in maniera decisamente errata e antiquata, limitandone i diritti e non certo facendone acquisire di nuovi. In un’intervista riportata nel libro, si parla proprio della paura che queste donne hanno che sia riformato il diritto di famiglia e non certo a loro favore. La cosa positiva è che le egiziane non accetteranno passivamente questi cambiamenti e che quindi la forza politica dovrà comunque vedersela con una coscienza sociale e civile ormai completamente sveglia.