“Un vulcano chiamato Siria” è una panoramica sulla Siria di oggi e di ieri. Abdullah Alhallak, giornalista siriano e autore del volume, s’interroga sul futuro del proprio Paese e pone l’accento sull’importanza della democrazia per garantire una pace stabile e duratura. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del libro.
Come era la Siria prima della “Primavera araba”?
Dopo la salita al potere di Bashar al-Assad, a luglio del 2000, tutti si aspettavano una trasformazione. Gli appelli e le richieste per il cambiamento democratico e il pluralismo politico cominciavano a levarsi sempre più forte all’interno del Paese. Bashar al-Assad promise che avrebbe varato delle riforme. Il 27 settembre 2000 gli intellettuali siriani pubblicarono il “Manifesto dei 99“, inaugurando la “Primavera di Damasco”. Il 9 agosto 2001 cominciarono, però, le retate di arresti contro gli attivisti e gli intellettuali della Primavera.
Bashar al-Assad era quindi determinato a mantenere il suo potere?
Dal suo punto di vista, reprimere la Primavera di Damasco era il minimo che potesse fare per mantenere il potere. I tentativi di soffocare qualsiasi dissenso sono poi continuati fino alla Rivoluzione del 2011, quando sono sfociati in una vera e propria catastrofe. Dallo scoppio della Rivoluzione ad oggi, circa 300mila persone sono state inghiottite nelle prigioni di Bashar al-Assad, mentre il conflitto ha fatto mezzo milione di vittime e nove milioni di profughi fuori e dentro il Paese.

Bashar al-Assad by Monif Ajaj (mostra Syrie cris action, Parigi)
Lei scrive che il regime ha usato la carta del jihadismo per salvarsi. In che modo?
La carta del jihadismo, del fondamentalismo islamico e al-Qa‘ida non rappresenta una novità sullo scenario siriano e arabo. È sempre stata uno strumento in mano alle potenze della regione per fare i propri interessi, e Bashar al-Assad non fa eccezione. Dopo la guerra in Iraq tra marzo e aprile del 2003, l’invasione e l’occupazione di Baghdad da parte delle forze statunitensi e britanniche e la caduta del regime di Saddam Hussein, il presidente americano George W. Bush inasprì i toni contro Bashar al-Assad. Bush, sembrava intenzionato a completare a Damasco il lavoro cominciato a Baghdad. Per Assad era quindi indispensabile che l’Iraq restasse una polveriera per affossarci le forze americane e impedire che il loro progetto si estendesse alla Siria. I jihadisti erano la carta migliore che aveva a disposizione e così ha aperto il suo Paese ai combattenti per farli defluire nel territorio iracheno.
Lei affronta anche la cosiddetta visione “orientalista”. Ci spiega in cosa consiste?
Secondo questa visione, le società musulmane non hanno diritto alla democrazia e alla libertà, perché incompatibili con la loro religione. Chi sostiene queste teorie appoggia anche il regime dittatoriale degli al-Assad, descrivendolo come un presidente laico, che ha studiato in università europee ed è protettore delle minoranze, mentre accusano le sue vittime di essere la fonte del problema. Il problema, per loro, è l’islam e così fomentano l’islamofobia. L’islam è un’affermazione che incita a eliminare i musulmani, identificati esclusivamente come terroristi portatori di una cultura arretrata e inferiore, proprio per colpa della religione. Dall’altra parte, chi sostiene che l’islam sia la soluzione vorrebbe sbarazzarsi di tutto ciò che evade dalla sua ristretta visione, specialmente i cristiani e le altre minoranze presenti in Siria. La prima posizione indica in tutto ciò che riguarda l’islam una fonte di arretratezza, mentre la seconda spiega tutto attraverso l’islam in quanto vera e unica religione, senza considerare la società, la politica e l’economia. Naturalmente ci sono molti problemi irrisolti riguardo all’interpretazione dell’islam. Nei suoi testi fondativi si può leggere un passaggio che incita alla pace e alla giustizia e un altro che, invece, incita all’odio. La sfida, oggi, non è contro i musulmani, ma è conciliare l’islam con la modernità. È una sfida che coinvolge gli esponenti moderati di questa religione, impegnati a smentire la teoria secondo cui debba essere immutabile rispetto alle origini. Oggi più che mai l’islam necessita di una riforma così come avvenne in Europa per il cristianesimo secoli fa. Ma non è qualcosa che si può chiedere alle persone comuni che muoiono nelle prigioni o colpite da un attacco chimico.