DoveStiamoAndando? A cercare energie nell’Islam



Se il mondo fosse un solo stato, la capitale sarebbe Istanbul (Napoleone)

ISTANBUL – Raffinata e implacabile, le ricerca dell’essenziale conclude e sintetizza tutto un lavorio di riflessione su di sé, sul proprio stile di vita, sul mondo. La gamma dei colori spazia da toni pastello delicatissimi, al limite dell’evanescente, fino a tinte vivide, brillanti, quasi imperiose. Anche le tecniche utilizzate variano: acrilico e smalti. Echi arabi punteggiano gli intarsi; recenti suggestioni di calligrafia sembrano ammiccare a una qualche misteriosa nostalgia. A volte, la forma geometrica rimanda all’impianto di una moschea, per lo più alle linee del tetto sotto cui si raccolgono i fedeli: l’associazione con i mandala è inevitabile e immediata. Motivi geometrici e floreali giocano con idee di prospettiva. Compaiono cavalli e farfalle, anche pesci. L’arte di Luigi Ballarin è di norma aniconica, soltanto eccezionalmente le opere propongono forme umane – titoli come Danza rotante, Pregare danzando, Fante ottomano, rari altri. Libere su fondi neutri, strutturate come tanti parti di un singolo mosaico, tutte le figure prendono vita dall’accostamento di elementi differenti, ognuno dei quali potrebbe avere vita autonoma.

Dalla natia Venezia, il peregrinare di Luigi attraverso terre di Islàm – Nord Africa, Vicino e Medio Oriente – cominciò almeno una quarantina di anni fa. “Erano magia i silenzi, i colori, le ombre, la sabbia calpestata dei deserti; sono diventati memoria, parte della mia anima”. Finché arrivò a Istanbul, che di quel peregrinare si rivelò compimento. “Questa città ti stabilizza, non puoi più lasciarla”, dice il pittore. Da anni ha preso casa a Cihangir, dove trascorre la maggior parte del tempo: “Patria è ovunque ti senti a casa”, sorride; per il resto, si divide tra Roma e Venezia. A organizzare le sue mostre in giro per il mondo, provvede, a Istanbul, “la mia meravigliosa curatrice, turca, Beste Gursu, che promuove specialmente artisti mediorientali ed europei”. Tra gli autori di cui Gursu ha organizzato esposizioni, a Dortmund e Bruxelles, Ara Güler, turco di origine armena, uno dei più grandi fotografi mai esistiti, mancato nell’ottobre scorso; il primo ministro albanese Edi Rama nella sua prima personale in Turchia; il musicista e pittore Franco Battiato, molto vicino alla spiritualità Sufi, a Stoccolma, Miami, Goteborg.

Di quel tuo lontano peregrinare, l’Islam sarebbe diventato filo conduttore. Cosa cercavi?
“Un’energia, un’unione fra il deserto e il cielo. Non si conosceva molto dell’Islàm a quel tempo; era qualcosa di misterioso, fascinoso, per alcuni pauroso”.

Adesso se ne conosce anche di meno, pure per questo è aumentata la paura – ma è un altro discorso.
“Hai presente Shakespeare, ‘Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne contempli la tua filosofia’? Ecco, io percepisco il trascendente più in una moschea che in altri luoghi di culto; secondo me la preghiera consiste proprio in questo anelito immediato, senza intermediazioni, verso Dio (qualsiasi nome vogliamo dargli). A Istanbul sovente vado in moschea di notte, a meditare; quando esco, verso l’alba, è come se avessi ritrovato le mie energie, il mondo mi pare di nuovo intatto, smaltato, meraviglioso, tutto da percorrere”.

Volendo invece razionalizzare, quali aspetti dell’ Islàm ti attraggono particolarmente?
“Il monito alla giustizia sociale, il rifiuto del razzismo (già ben presenti nel Cristianesimo), il peculiare concetto di dolore quale mero sintomo di malattia fisica o espressione di sofferenza psichica. Per entrare in Paradiso (qualsiasi cosa questa parola significhi) infatti, conteranno solamente le tue azioni; nessuna funzione redentrice o salvifica è prevista per le sofferenze in vita, e meno ancora peseranno le tue mere dichiarazioni”.

Mai pensato di diventare musulmano?
“No. Ho delle remore verso tutto ciò che è definizione, delimitazione, appartenenza. Più che un religioso, mi definirei un credente”.

Un credente affascinato dal misticismo
“Ho l’onore di essere invitato ad alcune sessioni spirituali Sufi e a qualche loro cerimonia”.

Hai studiato la letteratura Sufi?
“Un po’, ma è davvero sconfinata – arabi, persiani, turchi, indiani, indonesiani, malesi ecc. Comunque, le rare volte in cui un essere umano riesce ad accedere a tali vette spirituali, è soltanto grazie a una profondissima trasformazione interiore”.

I tuoi quadri raccontano mondi interiori e mondi ignoti: che poi di questo, in definitiva, si nutre l’arte. C’è un messaggio che ti piacerebbe rivolgere a chi, nel mondo, li vede, li ammira?
“Vorrei sollecitare ognuno a porsi domande sulla complessità del mondo e  di noi stessi”.

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