Dresnik è una piccolissimo villaggio abitato da serbo kosovari che incrociamo durante un’attività di pattugliamento. Siamo partiti da Belo Polje, diretti verso il centro del Kosovo. Abbiamo attraversato altre località, tra cui Gorzadevac, Donji Petric, Klina, Buca, Kos, Opraske, Osojane, ma una sosta a casa di Ana per un caffè e una rakija è d’obbligo (Guarda la GALLERY di Silvia Dogliani).
E’ mattina presto e la bella luce dell’alba illumina il paesaggio collinoso. Dresnik è costituita da una decina di case e una piccola cappella, che Ana desidera mostrarci. Ci domandiamo subito di cosa possa vivere questa donna serba e i pochi anziani del villaggio, che interrompono il lavoro nei campi o escono dal proprio uscio per osservarci, incuriositi dal nostro arrivo.
Come sempre, individuiamo anche qui ruderi e scheletri di case abbandonate durante la guerra. Ana ci dice che a Dresnik la vita scorre tranquilla, non come in altri villaggi, dove alcune abitazioni di serbi, di recente costruzione, sono state bruciate. Da queste parti, ci spiegano, se sei di etnia serba e vuoi avere una casa, è meglio andarci a vivere e non lasciarla mai incustodita. E se sei costretto ad assentarti, è più prudente farla sorvegliare da qualcuno, non sai mai cosa possa capitare. Ma Ana è serena. Lei ha una casa di proprietà, nella quale vive da ormai alcuni anni. Ci invita, ci fa sedere in salotto, mentre, sorridendo, prepara un caffè. Poi, come da tradizione, mette sul tavolo anche una bottiglia di rakja, un liquore tipico del Paese. Le chiediamo di raccontarci la sua storia.
“Nel 1999 siamo stati bombardati dagli aerei e abbiamo dovuto lasciare la nostra casa. Da qui siamo andati a Raca, Kragujevac, dove abbiamo vissuto per quattro anni e mezzo. Abitavamo in 12 famiglie nella casa di mio padre e alla fine abbiamo dovuto dividerci”.
E poi, cosa è successo?
Mio padre e mia sorella, che vive in Italia, mi hanno comprato una piccola casa di 36 metri quadrati a Palanca. Nel 2005, mio figlio ed io siamo tornati qui e ci siamo fermati per circa 5 anni. Dopo siamo tornati in Serbia e adesso faccio spola tra Dresnik e la Serbia.
Ha un lavoro? Come vive?
No, non lavoro. Qui la vita è difficile. Se non hai qualche sostengo finanziario o
una buona pensione, non puoi vivere.
Riceve una pensione?
No. Prendo la pensione di mio marito, circa 9mila dinari (50 euro). Arriva da Belgrado. Mi pagano loro, anche se qui non ho ancora l’età per avere una pensione. Non ricevo neanche il sostegno finanziario dall’UNMIK. Non ho nessun aiuto, neanche dagli abitanti del villaggio. Gli altri anziani prendono qualcosa, ma a me, che non ho ancora compiuto 65 anni, non spetta niente. E’ per questo che la vita è difficile.
Ha mai provato a fare domanda per ricevere un ulteriore sostegno economico?
Quando sono tornata in Kosovo, ho parlato con gli italiani, in particolare con un certo Luis, che si occupava dei serbi. Ho fatto domanda per avere un sostegno economico e consegnato i documenti al tribunale, ma non ho mai ricevuto alcuna risposta. È rimasto tutto bloccato. Sono stata anche minacciata, ma io ho continuato a stare qui. Vengo a Dresnik per due o tre settimane, vado in Serbia per un po’ e poi ritorno di nuovo qui.
Ha mai pensato di vendere la casa e andare definitivamente a vivere in Serbia?
Sì. Sono venute alcune persone per vendere la casa. Ma alla fine ho cambiato idea. Gli altri abitanti di Dresnik, invece, hanno deciso di vendere e forse adesso, anche se non è cosa semplice, dovrei farlo anche io. Senza gli aiuti non si vive. Per esempio, come ho già detto, io prendo 50 euro. Già 30 euro li spendo per pagare il biglietto per venire e tornare. Mi rimangono 20 euro. Cosa faccio con 20euro?
E suo figlio lavora? L’aiuta?
Mio figlio non lavora. Lui ha un figlio e una moglie incinta. Anche lei non lavora.
Mi chiedete come vivo? Non posso vivere né qui, né lì (in Serbia NdR). Ho due zii in prigione e una famiglia sparpagliata in tre villaggi diversi.
A Dresnik, e nei villaggi limitrofi, come si viveva durante la guerra?
Qui sono stati uccisi tre o quattro giovani, ma nessuno della mia famiglia. In questo villaggio non hanno mai abitato albanesi, solo cattolici. Durante la guerra loro non si sono allontanati, sono rimasti qui, insieme a noi. E quello che è successo negli altri villaggi non lo so.
Nella prossima puntata la libertà di stampa e gli esempi di due radio kosovare.
Guarda le puntate precedenti:
Gli studenti del Don Bosco di Pristina parlano di futuro
La voce alle minoranze etniche ROM
La parola a KFOR
La rabbia di Vesna
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Da ricordare:
8 maggio 1989 Slobodan Milošević diventa il Presidente della Repubblica di Serbia (e dal 1997 della Repubblica Federale di Jugoslavia) e avvia una politica di assimilazione della provincia kosovara, colpendo principalmente i kosovari di etnia albanese con un vero e proprio programma di pulizia etnica.
Prima del giugno 1999: scontri quotidiani tra le forze militari della Repubblica Federale di Jugoslavia e le forze paramilitari dell’Esercito di liberazione de Kosovo (UCK). Crisi umanitaria.
12 giugno 1999: la KFOR entra in Kosovo su mandato delle Nazioni Unite per garantire sicurezza e stabilità
17-19 marzo 2004 pogrom anti-serbo: importanti episodi di violenza da parte di militanti indipendentisti albanesi-kosovari di religione musulmana contro le comunità serbe rimaste in Kosovo. Vengono assassinati serbi ortodossi, bruciati e danneggiati anche monasteri e chiese.
17 febbraio 2008 il Kosovo esce dal protettorato occidentale e si autoproclama indipendente (oltrepassando unilateralmente i confini della vecchia risoluzione 1244 dell’ONU). Il territorio è attualmente amministrato dalle Nazioni Unite. Viene riconosciuto solo da alcuni Stati (in Europa, per esempio, non da Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania). La Serbia continua a rivendicarlo come parte integrante del proprio territorio. Cina e Russia difendono la posizione della Serbia.
Da sapere:
Etnie presenti oggi in Kosovo
– kosovari-albanesi (circa il 92% della popolazione)
– kosovari-serbi (circa il 5%)
– altre etnie: gorani, rom, bosgnacchi… (circa il 3%).
Missioni internazionali
– ONU con la missione UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo): è stata istituita il 10 giugno 1999 con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che ha nello stesso tempo autorizzato l’ingresso di un contingente di sicurezza guidato dalla NATO: la KFOR (Kosovo Force). Ha svolto le funzioni di polizia e giudiziarie fino al 9 dicembre 2008, quando queste competenze sono state assegnate alla Missione dell’Unione europea sullo stato di diritto in Kosovo (Eulex).
– NATO con le truppe KFORCE.
– Unione europea: dal 2008 con la missione EULEX per garantire la promozione e il rispetto della stato di diritto.