In attesa di scoprirei responsabili dell’attentato di Boston, una giornalista saudita ha osservato che i suoi concittadini – come molti arabi e musulmani – hanno la paura che uno di loro sia coinvolto.
Così il sommario di un articolo di Courrierinternational.
Alla notizia del bombardamento di Boston, la maggior parte dei sauditi ha detto la stessa cosa del Washington Post: “Pourvu que ce ne soit pas un musulman !” Perché abbiamo ben imparato la lezione dell’11 settembre 2001.
All’epoca, alcuni di noi hanno avvertito che il terrorismo fosse qualcosa di simile alla violenza virtuale dei videogiochi e in realtà non fa male. Altri hanno pensato all’invio di un aereo su un grattacielo come ad un atto di coraggio.
Altri hanno giustificato senza troppi problemi l’uccisione di persone innocenti dall’altra parte del mondo, dicendo che era il diritto di coloro che erano oppressi altrove. Proprio come la vecchia che ha accolto lo tsunami in Indonesia: “Ben fatto, visto quello che fanno ai palestinesi”. Quando le ho spiegato che gli indonesiani erano musulmani, ho sentito di aver minato la serenità con la quale aveva manifestato la vendetta.
Pericolo di sospetto generalizzato
Oggi, sappiamo che siamo tutti nella stessa barca.
Dobbiamo ancora sapere chi ha commesso questo attacco, ma quello che sappiamo è che [due] sauditi [uomo e donna] che erano lì, per caso, hanno sofferto [perché erano feriti e perché sono stati implicati, a torto].
Non dimentichiamo le decine di migliaia di studenti sauditi [Fellows negli Stati Uniti]. Se il nome di uno di loro dovrebbe essere coinvolto nell’attacco, saranno tutti oggetto di sospetto e non possono più contare sulla simpatia [degli americani] nel loro lavoro di ufficio per rinnovare il visto.
E se fosse un crimine di odio?
I nostri cittadini si meritano tale sospetto? Certo che no! Ma la domanda che si pone è quella di comprendere chi abbia portato i nostri figli a commettere tali atti, dopo l’11 settembre 2001. Allora si era detto che i nostri figli erano stati presi in ostaggio da correnti estremiste che hanno fatto loro odiare la vita e dato il solo obiettivo di uccidere e morire da martiri.
Quando un folle ha aperto il fuoco in un cinema a Denver [nel luglio 2012], uccidendo quattordici persone, le uniche risposte sono state di riaprire il dibattito sulle pistole negli Stati Uniti. Tuttavia, quando l’autore di un attacco appartiene ad una cultura o una religione diversa, ci si interroga sulle sue motivazioni.
E’ facile limitare le domande su un pistolero solitario. E’ davvero difficile fare la stessa cosa per l’odio, per gli appelli al martirio e per le espressioni di simpatia per i crimini che si nutrono di una cultura che si innalza a religione.
1 Comment