MILANO – “Nella nostra cultura scientifica di oggi, il binarismo del genere maschio-femmina appare concettualmente accantonato”, dice Roberta Ribali, neurologa psichiatra, sessuologa. “Il genere (cioè il sentito individuale di appartenenza al genere maschile o femminile) è come una linea che agli estremi ha il maschile e il femminile; nei vari punti intermedi ci collochiamo noi. Neppure il sesso biologico è binario. Queste realtà rimangono purtroppo ostiche per non poche nazioni e/o comunità o persone, magari molto diverse fra loro, ma generalmente accomunate da atteggiamenti di diffidenza ostile verso le evidenze scientifiche”.
Sempre e dovunque sono esistite le figure transgender, basterebbe ricordare i miti anche mediterranei, con l’Ermafrodito, personaggio entrato nell’inconscio collettivo di tutto il pianeta, anche se il termine scientificamente non esiste. Oggi che abbiamo strumenti e mentalità per osservare indagare verificare, il personaggio è diventato persona.
Chi è, un/a transgender?
“Una persona che durante l’infanzia mostra alcuni atteggiamenti giudicati impropri dalla famiglia e dalla società, tipo un maschio che ama indossare gonne o una bambina che rifiuta categoricamente giochi e abbigliamenti femminili e predilige macchinine, soldatini e attività proprie del gruppo dei maschietti. Se, crescendo, continua in queste scelte e si comporta in modo discrepante dal sesso biologico, per lo più sopporta scherni, divieti, percosse, e repressione, isolamento, solitudine. Man mano entrando nell’adolescenza, sovente i traumi diventano ancora più evidenti: ragazzi con forti istanze femminili che, per reazione, si arruolano come paracadutisti o mimano comportamenti da macho; ragazze con forti istanze maschili che si sforzano di subire rapporti di penetrazione, magari fantasticando di essere al posto del maschio… Altre sfide nella scuola, dove non sono rari gli episodi di scherno o bullismo, quando non di aggressioni vere e proprie, a volte a sfondo sessuale.
Aiutare questi bambini e questi ragazzi è un dovere sociale: di noi medici, della scuola, delle famiglie, della comunità tutta”.
Aiutarli come?
“Rispettandoli, osservandoli e sapendo aspettare le loro scelte, senza l’ansia di etichettare, di fare subito una diagnosi, di trovare “la soluzione”. Dobbiamo attendere le evoluzioni naturali, rifiutando interventi autoritari e favorendo una presa in carico psicologica sia dei soggetti sia delle famiglie. Questo “non agire” peraltro richiede di essere molto preparati, anche perché il numero di queste persone sembra destinato ad aumentare: una volta le portavano dall’esorcista, adesso dal medico – il che è una grossa conquista…”
Il tema interessa attualmente tutto il mondo, nel Medio Oriente esistono anche realtà singolari (in Iran, ad esempio, gli omosessuali rischiano la morte, ma cambiare sesso è consentito) e nel Mediterraneo le ricerche nel settore sembrano intensificarsi. Intanto, alcune normative europee rinunciano già ai termini binari di uomo e donna, mentre il Parlamento portoghese sta per varare una legge che prevede di utilizzare soltanto il termine “persona”.
Come capire se e quando sia opportuno intervenire?
“La grande maggioranza di questi bambini finirà, alle soglie dell’adolescenza, con il ritrovare spontaneamente la corrispondenza del proprio comportamento con il sesso biologico, senza coercizioni evidenti. Al più, si riscontreranno con maggiore frequenza orientamenti bisessuali o omosessuali nella scelta dei partner.
Della minoranza, complessivamente intorno al 15%, chi ha genitori intelligenti e forti quanto basta per plasmare l’ambiente intorno, riuscirà a vivere la propria condizione in modo sereno, anche in età adulta. Per tutti altri si potrà pensare anche ad adeguate terapie ormonali in grado o di sospendere la pubertà guadagnando altro tempo in previsione di una scelta definitiva e ragionata, o di agevolare progressive modificazioni somatiche coerenti con il sesso prescelto (trattamenti, entrambi, decisi secondo le leggi europee, con tutte le garanzie e gli approfondimenti del caso, in stretta collaborazione con i genitori e con il loro consenso, e anche con feedback continui nella vita reale).
C’è da aggiungere che oggi diversi soggetti rifiutano la medicalizzazione del loro percorso: non pochi uomini e donne transgender mantengono il loro corpo ma desiderano solamente cambiare identità anagrafica.
In definitiva, è la società che deve imparare ad adeguarsi: e non i bambini e i ragazzi, che hanno tutti i diritti di svilupparsi e di fare le loro scelte libere, al momento opportuno”.
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