DoveStiamoAndando? A ricuperare il passato per costruire il futuro

ISTANBUL – Gülçin Anmaç ovvero dell’eleganza. Elegante il suo aspetto, l’abbigliamento, il modo di porsi, il gestire; alle pareti della sua grande casa/studio chiara, luminosa, spaziosa, fioriscono le grandi miniature per cui è diventata celebre. Grattacielo, piano alto, ampie vetrate aprono su Istanbul magica e infinita.

Laurea in Antropologia, master in Conservazione dei Beni Culturali, pluripremiata anche a livello internazionale, protagonista di almeno un centinaio di mostre e di una cinquantina di libri, Gülçin insegna al Centro nazionale delle Arti Tradizionali (e in altri enti), lavora per documentari della tv turca (il più recente, Mevlanza Rumi, dedicato al massimo poeta mistico della letteratura persiana, fondatore della Confraternita Sufi dei Dervisci Rotanti).

Perché un’antropologa sceglie la miniatura?
“Per raccontare la natura, le città, i miti, gli esseri umani attraverso un’arte plurisecolare che riflette la nostra cultura e con la quale possiamo proporci nel modo migliore all’esterno; la miniatura fu tradizione pittorica alta e specifica dell’Impero Ottomano – la parola deriva dal nome della vernice rossa Minium utilizzata in Europa durante il Medioevo e successivamente diffusa in Turchia. Credo che tutti i popoli, se vogliono riuscire a costruire il loro avvenire debbano conoscere il loro passato, e ciò evidentemente vale non solamente per le tecniche artistiche! In quest’ottica sono anche molto felice di insegnare alle generazioni giovani, mi piace contribuire a farli diventare consapevoli”.

Le miniature ottomane, sovente non firmate in quanto erano il risultato di un lavoro a catena tra maestro e allievi, raccontavano un ventaglio di temi vasto e vario: ritratti e fiori, temi religiosi e rappresentazioni della città, vita quotidiana e vita nel Palazzo, cerimonie di potere e scene di guerra. Sovente realizzate a multistrati, su una medesima pagina, queste opere affiancavano varie storie, magari ambientate in periodi e spazi diversi. Pur rispecchiando attentamente il contesto del libro nel quale erano incluse, più che di descrizioni si trattava però di suggestioni, allusioni, richiami al senso profondo degli esseri umani (e non soltanto). Lo stile delle miniature ottomane a volte ricorda i maestri persiani, altre volte sembra avere echi cinesi.
Colori molto brillanti, caldi, vivaci, in qualche caso volutamente contrastanti oppure affinati fino ad apparire rarefatti, frequenti il rosso, lo scarlatto, il verde e diverse tonalità di azzurro. Con le opere di Gülçin, nessuna soluzione di continuità.

Perché un’artista sceglie la miniatura?
“Per riunire tanti elementi diversi in una sola raffigurazione, così come abbiamo fatto per secoli. La miniatura mi consente un grande libertà: in un’opera posso inserire tutto ciò che desidero – la facciata di un palazzo e al contempo la gente all’interno, come farei in un ripresa aerea, oppure, con la medesima angolazione dall’alto, posso dipingere gli alberi e l’acqua di un fiume e anche le nuvole”.

Come sono, chi sono, i tuoi studenti?
“Molto diversi per età, formazione, provenienza, livello di cultura; per la maggior parte donne, generalmente più brave nei dettagli che richiedono abilità e pazienza. La miniatura esige pazienza, sforzo, concentrazione, lettura e conoscenza”.

Nel mondo come è percepita quest’arte?
“Oltre che in Turchia, la si pratica in numerosi Paesi, come Cina, Giappone, Pakistan, Iran, Algeria, Afghanistan, Uzbekistan. A ogni mia mostra o workshop o presenza in festival internazionali, ho sentito intorno a me molta curiosità e rispetto”.

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