DoveStiamoAndando? A utilizzare tutte le parole del mondo

ROMA – La purezza della lingua, si dice. Ma quando mai. È come per la cucina: siamo tutti mischiati, tutti imparentati, tutti bastardi. Detto questo, infarcire di parole straniere il linguaggio nel quale stai parlando dimostra solamente che non conosci abbastanza per utilizzarlo compiutamente.

Comunque, tolti di mezzo eventuali carenze e probabili provincialismi, il fatto è che le lingue rimangono vive se accettano di contaminarsi con altre e di adeguarsi ai mutamenti sociali. Lo constatiamo con gli idiomi neo latini (italiano francese spagnolo portoghese rumeno), nelle nazioni del bacino mediterraneo, e nei vari Paesi un po’ ovunque.

A volte una linfa antica attraversa spazi e tempo: il greco fertilizza da sempre il linguaggio della medicina (odontoiatra, psichiatra, diagnosi, omeopatia, allopatia e tanti altri) e oggi dell’informatica. Dai prefissi μικρος e μεγα che, anteposti a una unità di misura ne riducono, o moltiplicano il valore per un milione, fino a τερα, che lo moltiplica invece per mille miliardi (terabyte = mille gigabyte, ovvero mille miliardi di byte). Da ζκοπεω (osservare) e οπτικος (attinente alla vista) che danno nome all’oscilloscopio, strumento per studiare le grandezze elettriche variabili nel tempo, a κρυπτος + γραφειν cioè crittografia, scrittura nascosta non comprensibile se non con la chiave di decifrazione; da εικονιδιο, l’icona che indica un file, un programma, un collegamento fino a παραδειγμα, paradigma di programmazione. Un’infinità di parole, e tutte immediatamente riconoscibili.

Fertile per la storia del mondo anche il latino, principalmente per il diritto. L’italiano, sua filiazione forse prediletta, sembra lingua veicolante nella musica: ovunque si dice e si scrive: adagio, allegro, allegretto, piano, concerto, forte, maestro, bravo! ecc – variazioni minime. Grande diffusione anche nel settore della cucina, dove abbiamo esportato le relative specialità (pizza, lasagne, risotto ecc) che peraltro sintetizzano ed esaltano anche sapori diversi e lontani.
Banca è un’altra parola utilizzata in tutto il mondo (tranne in Grecia: τραπεζα, da τραπεζος, tavolo);la prima in senso moderno nacque a Genova nel 1406, il Banco di san Giorgio.

Nonostante alcune impuntature di conservatori, l’italiano rimane mobile, reattivo, continua a inglobare suggestioni e vocaboli nuovi. È nello spazio geografico europeo che gli scambi sono più frequenti e reciproci.
In inglese specialmente nel mondo dell’arte, dell’architettura (belvedere, portico, terracotta, veranda ecc), della scienza, della natura (belladonna, zebra, malaria, lava, zero ecc.) Qualche centinaio di parole sono transitate dall’italiano in tedesco: per esempio die Konfetti, che però significa coriandoli, fra le più riconoscibili die Situation, das Institut, das Konflit, fino a der Kapuzinerkaffee (il cappuccino, inventato a Vienna nel 1790 da Wilheim Tissot).

Dal norvegese proviene la parola sci, dal finlandese sauna, dallo scozzese slogan, ai Celti risalirebbe il carro, dagli esquimesi giunge l’igloo, il tabù è polinesiano, il karaoke giapponese. Dai suoi viaggi Colombo portò anche i vocaboli amaca, barbeque e canoa, unici rimasti della lingua Taino, parlata dagli indigeni. Originaria della costa della Cina meridionale la parola tè, pronunciata cha, come tuttora in Europa orientale e in Turchia.
Con questo straordinario Paese che non è più occidente e non ancora oriente, l’Italia ha plurisecolari legami, incontri e scontri, alleanze, diffidenze, sintonie, commerci. Dalla loro lingua noi ci siamo presi ad esempio giannizzeri, bailamme, yogurt, bergamotto, chiosco e tanti altri vocaboli tra cui alcuni che al turco sono arrivati dal persiano, come minareto, bricco, turbante, pigiama ecc. Dal nostro, loro si sono presi circa 500 vocaboli, tra cui aroma, avizo (avviso) cikolata, limonata, kontrabando, kandil (candela), iskele (scalo), natura, vanilya, bavul (Baule), familya, fazeta, karikatura ecc.

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