EGITTO/ Minoranze etniche. Un problema mai affrontato


 
Ali Hassoun fissa il suo dipinto, al quale mancano ancora alcuni dettagli per essere perfetto. Mentre lui è nel suo atelier di Milano, il Professor Paolo Branca è in Egitto, ad un convegno su dialogo e minoranze etniche. Pochi giorni fa entrambi avevano partecipato all’incontro Colori complementari, intervenendo nel dibattito Legami di pace sul dialogo tra musulmani e cristiani: imparando dal nostro passato il dialogo diventa possibile. In Egitto, il 9 ottobre scorso una manifestazione promossa al Cairo dai cristiani copti – la maggiore (10% della popolazione) fra le minoranze religiose del Paese – è finita nel sangue. Si tratta di una battaglia innescata dai provocatori e manovrata dall’alto o di una vera e propria assenza di dialogo? Lo chiediamo al pittore libanese Ali Hassoun.

In Egitto la Rivoluzione in corso è un “passaggio ad ostacoli” verso la democrazia. Che gli ostacoli siano stati manovrati e che si sia soffiato sul fuoco, ovvero sulla divisione etnico-religiosa, questo possiamo solo sospettarlo, ma non abbiamo delle certezze. La Rivoluzione in Egitto è partita con una collaborazione tra tutte le fasce politiche e religiose del Paese. Ma il problema delle minoranze non è mai stato affrontato in maniera completa e definitiva, neanche prima del vecchio regime di Mubarak. In Libano la questione è stata gestita meglio perchè non vi sono maggioranze così nette  e le comunità sono più equilibrate. Per trovare delle soluzioni, possiamo guardare al passato del mondo arabo musulmano e cercare di capire il problema alla radice.  Le minoranze non musulmane si definivano dhimmi: potevano praticare la loro religione a certe condizioni e godevano di una limitata autonomia.

Se prendiamo l’esempio dell’Egitto e ripercorriamo la sua Storia, possiamo dire che i copti sono sempre esisti nel Paese. Perchè dunque, secondo lei, il problema delle minoranze non è mai stato affrontato fino in fondo?

A differenza dal mondo occidentale, nei Paesi arabi non ci sono state una serie di Rivoluzioni importanti – come quelle Industriale, Francese o Femminile degli anni Settanta – e le due Guerre Mondiali non hanno ristabilito, come invece in Occidente, i diritti umani e i valori universali. Per questo motivo non si è mai arrivati alla nozione di “cittadino” e, di conseguenza,  di “diritti paritari” al di là dell’appartenenza religiosa.

Nel dibattito Legami di Pace lei ha detto che l’epoca delle Crociate ha rappresentato in Europa occidentale l’inizio di una vera rivoluzione culturale ed economica, mentre in Oriente un periodo di decadenza e oscurantismo, in cui il mondo musulmano si è sentito emarginato. I contrasti di oggi tra i musulmani e i cristiani in Egitto possono essere visti in un certo senso come una “rivincita storica” per voler riaffermare – o meglio confermare – la propria identità culturale e religiosa?

Non direi solo nel caso dell’Egitto di oggi, ma più in generale i conflitti etnico-religiosi nel mondo arabo musulmano si trascinano da tempi lontani. Nel libro dell’intellettuale libanese Samir Kassir “Infelicità araba” si parla proprio di questo senso della sconfitta ereditato dal passato, di questo non aver retto il passo della storia. Un senso di frustrazione che arriva fino ai giorni nostri: la gente fugge dal proprio Paese per realizzare i propri sogni e mostrare liberamente il proprio talento. Il giornalista libanese anti-siriano Gebran Tueni, fondatore del quotidiano An-Nahar, prima di essere assassinato ha lottato per la libertà del Suo Paese e del suo popolo, che oggi forse ha capito quanto non sia più necessario scappare per dire liberamente ciò che si pensa.

Lei è un’artista libanese. E’ nato in Libano e ha vissuto lì per molti anni. Poi  è venuto in Italia a studiare e a lavorare. Di fronte a due realtà e due mondi così diversi, cos’è per lei la libertà?

Più che spiegare il concetto, posso spiegare le sensazioni. Perchè la libertà è una sensazione: svegliarsi al mattino e sapere che non ti manca qualcosa di fondamentale nei tuoi diritti; camminare per le strade e sentirti parte di ciò che ti circonda; avere costantemente intorno a te questo senso di pacificazione.

Qual’è la sua “ricetta magica” per restituire la libertà alle minoranze etniche in Egitto e in altri Paesi e per affrontare una volta per tutte il problema delle discriminazioni e dell’assenza di dialogo?

Non serve la bacchetta magica, ammesso che qualcuno ce l’abbia. Le persone che contano dovrebbero stare insieme e parlare chiaro davanti ai loro popoli. Il Professor Branca è lì in Egitto ora, a capire, ad ascoltare, a dire la sua e a confrontarsi. La religione è importante per migliorare sé stessi ed il rapporto con il prossimo, ma serve a poco se non trova delle soluzioni più universali, attuali e condivise. Io sono un pittore, un artista del “poter vivere insieme”. Ognuno di noi può dare il suo contributo, anche se forse iniziamo tutti ad essere un po’ più stanchi, ma non scoraggiati. Ma chi deve veramente agire sono i potenti. Non bisogna bloccare lo sviluppo culturale e spirituale dell’essere umano. I popoli sono istintivi e vanno aiutati e informati al di là della propaganda inutile! Serve prospettare uno Stato laico, una definizione della nozione di “cittadino”  e il confronto tra i rappresentati politici e religiosi di ogni Paese.

 

 

 

 

 

 

 

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