Ha vissuto al Cairo, conosce l’arabo ed è particolarmente attenta alle vicende in Egitto.Per questo abbiamo scelto di interpellare Emma Bonino, vicepresidente del Senato e attivista per i diritti umani, chiedendole una sua previsione sul futuro della terra dei Faraoni.
“La situazione è talmente in movimento che è difficile dire qualcosa di sensato adesso” risponde la Senatrice, che, oltre alle dichiarazioni già fatte alla stampa e alla televisione, dove attribuisce al regime di Hosni Mubarak e alle democrazie occidentali la responsabilità di ciò che è accaduto in Egitto (e Tunisia), ancora non se la sente di fare previsioni. Non ha dunque la palla di vetro Emma Bonino, anche se, già anni fa, molto di ciò che è accaduto in Egitto in queste ultime due settimane l’aveva evidenziato e portato all’attenzione dell’Italia e dell’Europa.
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Quando ho conosciuto la Senatrice, io vivevo al Cairo e lei faceva la spola tra Bruxelles, Strasburgo e la capitale egiziana. Ci siamo incontrate per caso in un caffè di Zamalek, negli anni in cui si poteva girare tranquillamente per le strade, senza il timore di imbattersi in posti di blocco o piazze colme di dimostranti. L’11 settembre aveva già lasciato un segno, ma la paura era evaporata lentamente. Il raìs era su tutti i cartelloni pubblicitari e nessuno osava contestarlo, nessuno urlava il suo yalla (forza, muoviamoci!). In alcuni quartieri la ‘polizia morale’ girava per le strade e gli innamorati non potevano tenersi per mano. Molte erano le proibizioni, ma tutte implicite, come parte di un tacito accordo. La vita andava avanti senza timori e senza aspettative: i poveri da una parte e i ricchi dall’altra.
“Questo è un Paese di fronte ad un grande bivio” mi aveva detto Emma Bonino quando l’ho intervistata nel 2003 per il mio libro Egypt Unexpected. “O assume tutto il coraggio e la responsabilità di guardare avanti – l’unica possibilità che resta, con tutto quello che questo implica – oppure sceglie la strada dello status quo, più o meno autoritaria, che è destinata al fallimento del Paese e della gente soprattutto!”.
Bonino mi spiegava che parte dell’establishment (giornali inclusi) si rendeva conto che lo status quo non era tenibile. “Manca lo stato di diritto, la protezione legale della proprietà (per cui non solo lo straniero, ma anche l’egiziano ricco, non investe nel suo Paese perché non è rassicurato), una politica bancaria, le riforme economiche (l’assenza delle quali rafforza i poteri, ma non sviluppa il Paese). L’esplosione demografica era ed è ancora oggi un problema per l’Egitto, che ha una crescita economica quasi inesistente. La risposta internazionale e quella europea le sembravano già otto anni fa molto inadeguate.
Cosa si può fare dunque? Le avevo chiesto. “Il filo da tirare dipende in fondo dai valori in cui uno crede” mi aveva risposto. Nel 2003 Emma Bonino ne avrebbe tirato uno soltanto: “Dovessi fare una scelta, la farei sulla libertà politica, sul diritto di associazione, sul diritto di espressione, sulle libertà civili insomma”.
Già allora le sembrava che i suoi colleghi italiani ed europei tutto questo non lo vedessero. A dimostrarlo anche il fatto che nessuno parlava la lingua araba, per lei un importante strumento di conoscenza. “Penso che al di qua o al di là del ‘lago’ dovremmo capire come vivere insieme”. Poi aveva portato un esempio molto pratico: l’immigrazione. ” Da noi viene considerata un problema a senso unico, cioè solo nostro. Dovremmo renderci conto delle motivazioni che spingono la gente ad emigrare. Sostanzialmente noi non guardiamo dall’altra parte!” aveva detto.
Ecco che adesso l’Europa e tutto il mondo guarda all’Egitto, devastato da oltre due settimane dalle proteste popolari. Nel Paese la religione, secondo Bonino, è sempre stata un’arma politica per rafforzare il potere dominante. “I tre pilastri che si aiutano a vicenda sono la classe politica ed economica, la struttura religiosa e la struttura militare e dei servizi segreti. Ognuno ha il suo tornaconto; chi non ce l’ha è la gente!“.
E’ solo sulla gente – il popolo egiziano – che Emma Bonino non aveva indovinato nel 2003: “Ciò che vedo, e non so se sia vero, è un dato di rassegnazione, come se fosse inutile muoversi”. In questo la Senatrice sicuramente non aveva ragione e forse oggi è contenta di essersi sbagliata!
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