Roma. – Che noi siamo quel che mangiamo, è opinione condivisa. Ma essendo il cibo anche primaria forma di accettazione e interazione, un messaggio potenzialmente inquietante scatta a livello inconscio: se mangiamo medesime cose, prima o poi finiremo pure con il somigliarci. Come dire fine dei razzismi. Deve avere problemi ben altro che di palato, chi per principio sceglie solamente cibi nazional-popolari (Associazione di idee con un proverbio tedesco: “Soltanto i contadini mangiano esclusivamente quel che conoscono”)
Pomodori da Perù ed Ecuador, melanzane arabe, riso da India e Cina, cipolle sacre per gli egiziani, ciliegie e ceci originari della Turchia, fagioli del Messico, pere del Mediterraneo menzionate persino da Omero Catone Plinio … Senza quei viaggi, scoperte, scambi, paure, esplorazioni, storie le “nostre ricette tipiche tradizionali”, italiane e/o europee che siano, semplicemente non esisterebbero.
Al solito, la contaminazione è vita.
Ai nostri giorni il cibo può essere straordinario ponte con i migranti, almeno in questo l’Italia sembra coerente con la sua reputazione di patria della (buona) cucina. Da nord a sud, isole ben comprese, anche in località diverse, iniziative numerose e variamente impegnative: estemporanee magari per una sagra paesana, articolate e di grande respiro a volte per fiere internazionali, programmate per evolversi in realtà stabili.
In Sardegna ad esempio, alcuni migranti originari del Mali, Bangladesh, Pakistan, Ghana, Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria, Eritrea, Marocco, Ciad, Somalia e Guinea hanno animato, anche in località diverse, la rassegna “Il pranzo di Babele – dall’Africa all’Oriente per l’Europa incontrando la Sardegna“: serie di cene comprendenti specialità di questi Paesi realizzate con prodotti sardi.
In Toscana, per il progetto “Migranti al lavoro con il Banco Alimentare” – presentato in Vaticano, al convegno “Rifugiati nostri fratelli” – una ventina di persone arrivate da Libia, Egitto e Africa sub sahariana recupera, ai mercati generali di Firenze, frutta e verdura rimaste invendute ma in buono stato, per portarle a domicilio di anziani e/o famiglie indigenti.
A Roma, un ristorante inaugurato di recente nel quartiere Ostiense fa capo alla onlus Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo (CIES) che reinvestirà gli eventuali proventi in progetti di formazione. Una decina almeno di nazionalità fra i dipendenti, minori migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, Ucraina, Caraibi. Menu suggerito dagli stessi ragazzi: ricette dei rispettivi Paesi rivedute e corrette tenendo conto dei palati europei, supervisione dello chef Lorenzo Leonetti
Il piatto più strano che hai rivisitato?
“Uno stufato di maiale con verza marinata e pane cotto al vapore, tipico dell’Ucraina dell’est; è diventato una pancia di maiale marinata alla senape in crosta di pane e verza”
Regole base per felici contaminazioni?
“Utilizzare tecniche di cottura comuni a tutte le cucine, cioè in acqua o in pentola o arrosto. Rispettare il più possibile il sapore originario, cominciando dall’abbinamento che sta alla base delle varie cucine (tipo lime e peperoncino per il sud est asiatico e soffritto di sedano e carote per i piatti italiani). Verificare con attenzione le peculiari consistenze dei cibi, in relazione soprattutto ai tempi di cottura – in genere brevi per i carboidrati, lunghi per le carni”
La tua storia?
“Sono stato allievo e poi insegnante a Il Gambero Rosso. Successivamente, formatore con i volontari di Capitano Ultimo: lavoravamo con ragazzi detenuti in attesa di giudizio, minori migranti, altri giovani con reali bisogni e problemi di inserimento. In piccolo, facevamo quel che CIES fa oggi a livello professionale, cioè supportavamo le nostre attività sociali, gratuite, con la vendita di prodotti realizzate con quelle stesse attività.
In Italia, varie esperienze dimostrano già possibile, anzi positiva, la combinazione fra progetti di formazione e offerta di mercato; io vorrei dimostrare che questa formula è capace anche di reggere la concorrenza in un quartiere di movida”
Tutto il personale è stato formato alla CIES
“Sì, e tutti sono regolarmente assunti. Abbiamo insegnato nozioni non soltanto tecniche: ad esempio i rapporti con i piccoli fornitori piuttosto che con catene industriali, l’importanza di allevamenti in cui il benessere dell’animale viene tutelato, il rispetto dell’ambiente, dei lavoratori, della stagionalità, delle norme sociali e biologiche per produrre materie prime”
Le reazioni dei ragazzi?
“Hanno una tale voglia di fare che riusciranno a superare qualsiasi ostacolo. Mai visto niente di simile in vita mia”.