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ROMA – “I rifugiati sono segni della nostra epoca, noi abbiamo il dovere di rispondere”: così, nel 1980, padre Pedro Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, lo intuì mentre migliaia di boat people fuggivano dal Vietnam devastato dalla guerra. Per “accompagnare, servire e sostenere i rifugiati e gli altri sfollati forzati, affinché possano guarire, imparare, e decidere del proprio futuro”, quell’anno il Jesuit Refugees Service (JRS) si avviò, ideato e promosso dallo stesso Arrupe. Ed ebbe subito respiro globale il suo appello ai gesuiti del mondo (al tempo, 27mila): dopo 40 anni, il JRS è presente oggi in 56 Paesi. A Roma il coordinamento e la sede internazionale, nonché l’ufficio italiano (Centro Astalli). E, nella tensione verso nuove frontiere fisiche, culturali, religiose, sociali – un obiettivo caratterizzante della Compagnia – il JRS è arrivato anche in campi profughi tradizionali, centri di detenzione e prigioni, zone di conflitto, aree di confine, e nel cuore di grandi città.
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