Esiste un altro Islam? Un Islam lontano dall’idea che domina in Occidente, che si oppone con forza alla violenza, all’oscurantismo, alla ferocia di al Qaeda e dei talebani. Abbiamo incontrato Massimo Jevolella, autore de Il Corano, Libro di pace, e lo abbiamo chiesto a lui.
Secondo lei, questo “altro” Islam esiste o è frutto di un’utopia?
Non è frutto di un’utopia, perché esiste in duplice maniera prima di tutto: esiste nella realtà storica, è sempre esistito ed esiste tuttora. E’ una forza notevole ed è un Islam assolutamente diverso da quello che propongono i mass media normalmente: violento, aggressivo, fanatico oscurantista, … In seconda battuta, e non di poca importanza, è quello che si trova nel Corano. E’ proprio lì che va cercata l’origine di questo Islam diverso.
I sufi sono una piccola minoranza dell’Islam, spesso dichiarati miscredenti ed, in alcuni casi, addirittura perseguitati. Come può una realtà così piccola cambiare la visione dell’intera Umma (comunità musulmana)?
E’ vero che è una realtà numericamente piccola, ma da un punto di vista spirituale ed esoterico non è affatto una piccola minoranza. Negli anni Ottanta e Novanta, prima che accadesse la tragedia delle Torri Gemelle, l’immagine dell’Islam che più frequentemente ricorreva in Occidente era proprio quella pacifica e mistica dei sufi. Per questo motivo, in quegli anni, l’Islam ha avuto una notevole forza di attrazione, anche in Occidente con casi di conversioni eccellenti. Purtroppo, con l’attentato dell’11 settembre – e quindi con la minaccia terroristica – c’è stato un precipitare della situazione. Da quel momento ha preso il sopravvento l’islamofobia, le tesi alla “Fallaci”, tanto per fare un nome. E quindi, anche quel grandissimo apporto che era quello del sufismo, è stato un po’ oscurato.
Lei parla dell’ideale del hanif, il vero figlio di Abramo, il credente puro. Ci può spiegare che cosa significa? Questo è un po’ il cuore del mio libro, è un’idea che io sostengo già da molti anni e che avevo cominciato ad esprimere in un mio precedente libro, uscito nel 2004. E’ una riflessione sulle pagine del Corano, sotto il trauma del terrorismo, dell’11 settembre e poi degli attentati successivi, con centinai e centinaia di morti. L’ idea è quella di risalire alla fonte primigenia della profezia coranica, che si può simboleggiare con questa parola un po’ strana, esoterica che è appunto hanif. Questo termine ricorre diverse volte nelle pagine del Corano e viene accostato alla figura di Abramo visto come il Padre di tutte le fedi monoteistiche. Esistono varie teorie sull’origine di questo termine; le più accreditate lo fanno derivare dall’aramaico orientale, cioè dalla lingua siriaca. La parola “hanif” non ha una traduzione precisa nella nostra lingua. Possiamo tradurla approssimativamente come “credente puro”, ma il significato reale è quello di una persona che si sottomette a Dio, ma non per questo si iscrive ad una identità confessionaria. E’ cioè una persona che va al di là della religione di appartenenza e che ha un rapporto diretto con la divinità. Questo è ciò che intende il Corano quando parla di hanif e quando parla di hanif muslim, che noi traduciamo con “musulmano”, ma che in realtà nel vocabolario coranico significa soltanto sottomesso. Infatti, quando noi vediamo tradotta la parola “muslim” con musulmano, è chiaro che siamo di fronte ad un’edizione confessionale, che definisce l’appartenenza di una persona ad una determinata fede religiosa che si contrappone alle altre, mentre nel significato originario non lo è. L’Islam è una fede che viene per unire non per dividere. Infatti, il Corano dice proprio: “ …dite noi, non siamo cristiani, non siamo ebrei, non apparteniamo a nessuna fede, siamo Hanif”. Da questo concetto può discendere una visione completamente diversa dell’Islam, che non viene più concepito come una nuova fede venuta per distruggere e per abbattere le altre. Piuttosto una fede che in realtà riprende, si riallaccia e si abbevera alla fonte della fede monoteista. E’ quindi venuta per proporre una visione universalistica e unitiva della spiritualità.
Altro tema spinoso nell’Islam è la condizione della donna. Per gli “occidentali” la donna nell’Islam vive in uno stato di discriminazione sociale, culturale e giuridica ed è quindi inferiore all’uomo. Se il Libro è considerato intoccabile, come può evolversi la sua condizione?
Questo è un tema effettivamente difficile. Dobbiamo prima di tutto dire che, nell’epoca in cui la rivelazione coranica scese (come dice il Corano) sul profeta Mohammad, nella penisola arabica (e non solo) la condizione della donna era molto dura. Facciamo un piccolo esempio: il padre di famiglia aveva il diritto di decidere di seppellire vive le neonate e le donne non avevano nessun tipo di potere. Il Corano, quindi, portò un incredibile miglioramento nella condizione femminile, perché istituì un diritto matrimoniale, successorio ed eliminò queste forme di barbarie. Dobbiamo contestualizzare la discesa del Libro, quattordici secoli fa nel deserto arabico, per capire l’enorme progresso e l’importanza che questo ha avuto per la condizione della donna.
Altro punto importante è questo: a parte alcuni versetti che sono molto chiari, quelli utilizzati dagli oscurantisti, e in generale dagli estremisti ortodossi, per giustificare usanze barbariche – come quella della reclusione o del velo integrale o della lapidazione -, in realtà non dicono assolutamente nulla di tutto ciò! Non lo penso io perché sono “innamorato” di questa religione. Non sono un convertito o un neofita o cose del genere. Sono semplicemente uno che studia da più di trent’anni l’Islam.
Lo dicono anche tutti i conoscitori e gli esegeti musulmani moderni, le cosiddette femministe islamiche e le donne Imam, che recentemente sono state istituzionalizzate in un Paese come il Marocco. Qualche anno fa, nella Moschea di Rabat, riuscii ad ottenere un’intervista con alcune di queste donne, che si chiamano Murshidat (cioè guide che hanno quasi la stessa funzione degli Imam). In quell’occasione parlammo proprio del famoso versetto 59, sura 33 – o più conosciuto come “versetto del velo”. Nelle mia traduzione dice: “ Oh Profeta, dì alle tue mogli e alle tue figlie, e alle donne dei credenti, di lasciar cadere su di loro le loro vesti. Questo è il modo più appropriato per far sì che esse siano riconosciute, senza essere molestate. Dio è Indulgente e Misericordioso” . Questo famoso versetto ha dato adito alle più incredibili manipolazioni da parte dei più severi ortodossi. Le Murshidat marocchine – ed in particolare una di loro, che si chiama Fatima Zakir -, mi hanno spiegato che, proprio interpretando questo versetto, il velo non può essere indossato né per costrizione, né per umiliare le donne nella loro dignità. E comunque non deve coprire completamente il volto. Anche sulla lapidazione sono state molto chiare: in nessuna parte del Corano c’è scritto che la fornicazione deve essere punita con la lapidazione. Alcuni dicono, invece, che vi era scritto in una redazione antica del Corano (che si attribuisce al famoso califfo Omar, notoriamente misogino). Non è mai uscita la verità su questo tema. Ma, ripeto, nel Corano non se ne parla.
Il mondo islamico non è monolitico, ha migliaia di sfaccettature. Come può avere una linea comunitaria e progressista?
Secondo me si può. Stanno nascendo movimenti che esplicitamente si richiamano ad un concetto più morbido, ad esempio di “guerra santa”. Negli Stati Uniti, da pochi mesi è sorto, infatti, un movimento che si chiama “My Jihad”, che sta prendendo molti consensi anche grazie alle campagne pubblicitarie. E’ promosso da giovani musulmani americani, che vogliono diffondere un‘idea molto più rassicurante dell’Islam. Jihad, come sappiamo, non vuol dire guerra santa, ma in arabo significa “sforzo”. Viene intesa, secondo l’interpretazione dei sufi, come sforzo interiore volto a migliorare se stessi, e non come guerra fatta con le armi. Anche se guardiamo alla “Primavera araba” – che ora purtroppo sta subendo un contraccolpo da parte dei movimenti fondamentalisti – o se pensiamo ad un Paese come l’Egitto, dove più di metà della popolazione si sta ribellando a questa deriva fondamentalista. Queste persone non sono atee, ma la maggior parte sono credenti con una visione diversa dell’Islam, che si apre alla democrazia e ai diritti.
In questo momento, in nome del Corano, ci sono migliaia di lotte, spesso fratricide. Qual è, secondo lei, il segreto o la formula per andare verso una pacificazione?
Come dicevo prima, c’è la volontà di andare verso una pacificazione, è un movimento in atto, non sono fantasie, né forme di irenismo, del quale sono stato accusato durante una mia conferenza. Se per irenismo si intende andare verso la ricerca della pace a tutti i costi, allora sì, io sono un irenista. Etty Hillesum, una famosa scrittrice ebrea morta ad Auschwitz, ha scritto delle parole meravigliose a proposito di questo argomento. Nel 1943, il momento più buio della nostra storia, scriveva nel suo diario: “sono arrivata alla conclusione che noi non dobbiamo chiedere a Dio che ci aiuti, ma siamo noi che dobbiamo aiutare Dio”. E’ un concetto meraviglioso! Cosa vuol dire “aiutare Dio”? Significa che in ogni cosa noi dobbiamo cercare il meglio che c’è. Non dobbiamo fermarci al peggio o alle interpretazioni peggiori, ma sempre a quelle che ci portano avanti.
Il dialogo con l’Occidente è possibile secondo lei?
C’è molto da recuperare, perché siamo sotto l’effetto di mille anni di calunnie verso la religione islamica, e soprattutto di conflitto che i terroristi hanno contribuito ad alimentare creando l’islamofobia. Io vorrei, invece, parlare della bellezza della civiltà islamica, che per cinque secoli ha illuminato il mondo. Dall’VIII al XIII secolo, l’Islam è stato il faro della civiltà mondiale ed ha portato all’Occidente il progresso in tutti i campi. Nell’anno Mille, a Córdoba, c’era un teologo, di nome Ibn Hazm, fondatore degli studi delle religioni comparate. Costui aveva una concezione – e qui ritorno al tema della donna -, assolutamente femminista. Questo severo teologo letteralista, e quindi, non un sufi, scriveva in uno dei suoi libri più importanti che “il versetto del Corano che dice che l’uomo non è come la donna, non si deve interpretare nel senso che l’uomo è superiore alla donna; perché se la differenza fosse essenziale, dovremmo dedurre che anche gli uomini più stupidi e mascalzoni sarebbero superiori a donne eccelse, come Maria, la madre di Gesù, o a Kadija, la moglie di Maometto. Se discutiamo la frase dal punto di vista sintattico e grammaticale “…l’uomo non è come la donna” potremmo anche dedurre che è la donna ad essere superiore all’uomo”. La cosa straordinaria è che queste parole furono scritte da un teologo ortodosso mille anni fa. La civiltà islamica deve, quindi, essere conosciuta prima di essere giudicata. Nell’ultima parte del mio libro, ho pubblicato un saggio che ricostruisce l’origine dei pregiudizi che l’Occidente ha eretto intorno al Corano e al profeta Maometto. Parto dalla Divina Commedia di Dante, che mette il Profeta nell’inferno, sino ad arrivare alle vignette satiriche degli ultimi tempi.
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