ROMA – Destinato a brillante carriera forense, un giorno Francesco Javicoli rientrò dall’università e comunicò l’intenzione di interrompere gli studi di giurisprudenza: “Non credo nella legge così come viene amministrata”, spiegò, “ho deciso che farò il cuoco“. Non batterono ciglio il padre, affermato professionista, né la madre, una nobildonna ironica, colta e curiosa; essenziale, risposero, è lavorare con serietà e soddisfazione. Adesso Francesco ha una quarantina di anni, alla serietà e soddisfazione ha aggiunto l’impegno ecologico, e ti fa sentire vagamente responsabile dei destini della Terra per le tue scelte alimentari – mangi polli ostriche pasta verdure dolci o cos’altro? Se poi ti piacessero manghi e ciliege…quanto inquina l’etere il trasporto in Europa delle ciliege cilene a Natale e dei manghi pakistani in giugno? Di più: quanto sottrai ai prodotti della tua terra?
Possiamo dire che in fatto di alimentazione stiamo man mano acquisendo consapevolezza?
“Da atto necessario e generoso (per mantenere la famiglia, per portare avanti un’economia fondata sul lavoro) negli ultimi decenni il cibo è via via diventato mezzo prediletto del mercato e dei media per raggiungere, e gestire agevolmente, compiaciute masse di neoeletti artisti gastronomici. Sui media e sui social sonio proliferate immagini, foto, pubblicazioni (fra i primi dieci libri venduti in Italia, a lungo ce ne furono tre di ricette); si sono create occasioni generalizzate di ribalta specialmente per cuochi, specialisti, intenditori e presunti tali. Ora, chi ha ottenuto tanta attenzione ha una altrettanto grande responsabilità, e l’opportunità di mandare un messaggio”
Quale?
“Per esempio un invito a ritrovare e valorizzare quell’economia reale nella quale anche la preparazione di un piatto si inserisce. I nostri acquisti, prima ancora di soddisfare esigenze individuali relative al prezzo, al risparmio e alla salute, impattano sull’ambiente, contribuiscono a rafforzare o indebolire un certo tipo di economia, a favorire uno stile di vita sostenibile o meno a livello comunitario e globale. Al rapporto qualità/prezzo quale abituale criterio di scelta bisognerebbe perciò affiancare il concetto di valore, perché una persona può essere disposta a spendere di più pur di sostenere un determinato ciclo produttivo”
Sui nostri gusti e sul loro evolversi, quanto influisce la disponibilità di sollecitazioni, stimoli, odori, combinazioni, sapori che oggi, specialmente nelle grandi città, arrivano da un po’ ovunque nel mondo?
“Le cucine del mondo sono una ricchezza infinita da scoprire. Ogni popolo ha i suoi piatti tipici, ma le tradizioni si modificano se e quando vissute in mercati e contesti in cambiamento; questo vale soprattutto oggi, in epoca di globalizzazione, e riguarda i piatti sia italiani all’estero sia di altri Paesi qui.
Prima che sul gusto, la cucina si basa infatti su alcuni fattori obiettivi essenziali come la geografia e il mercato; la contaminazione diventa inevitabile. Noi per esempio, nel Mediterraneo, attraverso i millenni abbiamo conosciuto e importato dal mondo centinaia di elementi che poco a poco sono diventati essenziali per le nostre specialità: pomodori dal Perù e dall’Ecuador, risi dell’Oceania, melanzane dagli arabi che secoli prima li ebbero dalla Cina, agrumi dall’India, e così via. Nel tempo, li abbiamo immessi nella nostra terra, coltivati, curati e cucinati secondo tradizioni legate anche al privilegio di speciali condizioni climatiche.
E non dovremmo comunque dimenticare che l’etimo della parola dieta (dal greco diaita) indica uno stile di vita, e che nel caso della nostra dieta mediterranea – oggi patrimonio dell’Umanità Unesco – esso si fonda proprio sul valore delle relazioni tra le persone e sul rispetto della Terra”.
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a presto!