Come saremo: la tecnologia spalanca il mondo all’arte
VARESE – Il percorso artistico di Luciano Bonetti si avvia con i Gatti neri orgogliosi della loro diversità, continua con i Figuranti dolenti e furenti di fronte a un destino di impotenza (se non di morte in fondo al Mediterraneo), prosegue ammiccando alla complessità emotiva di Sean Scully e Mark Rotchko, approda a figure minuscole, sparute e imprevedibilmente tenere, destabilizzate nell’infinito. Sono personaggi e visioni della pandemia, collegati con il titolo comune di Vicine Lontananze. Orizzonte grande, fisso, rarefatto, volta del cielo fitta di echi; compaiono anche materiali nuovi come lastre di alluminio e sottolineature con pastelli a olio.
“Le chiusure per contrastare la pandemia, riflette il pittore, hanno trasformato completamente il concetto di lontananza. Gli affetti, le cose, la natura finivano per essere vicine ma irraggiungibili.
Ti ricordi Albert Camus, La Peste? ‘Dal momento in cui la peste aveva chiuso le porte della città, non erano più vissuti che nella separazione, erano stati tagliati fuori dal calore umano che tutto fa dimenticare. Con gradazioni diverse, in tutti gli angoli della città, uomini e donne avevano aspirato a un ricongiungimento che non era, per tutti, della stessa natura, ma che, per tutti, era egualmente impossibile’. È andata esattamente così. Le certezze sono gradualmente diventate precarie, realtà vicine e fruibili ci ritornavano amplificate perché irraggiungibili”.
E adesso?
“Adesso tutto quanto si sta rivelando straordinariamente positivo. Abbiamo infatti imparato a percepire lo spazio in un’altra dimensione, a valorizzare l’altrove, a rispettarlo. Il dopo-Covid potrà rivelarsi una grande occasione anche per rivisitare le modalità di trasmissione dell’arte”.
È la tecnologia a rendere possibile tutto questo?
“Certamente. La tecnologia, specificamente la sua pratica quotidiana, offre possibilità imperdibili, finora inimmaginabili, di veicolare il nostro messaggio al mondo. Chiaro che se ne avvantaggiano specialmente gli artisti più giovani, i cosiddetti ‘nati digitali’: Fino alla primavera dell’anno scorso, l’arte era più che altro “in presenza”; si visitavano mostre, luoghi. I mesi di confinamento hanno imposto e insegnato le visite virtuali, moltiplicando la visione e la fruizione delle opere. La normalità di oggi sta sia nel visitare di persona l’atelier di un pittore – scovando quadri magari dimenticati, toccando superfici e materiali, respirando odori di vernici e pigmenti – sia nell’incontrare l’artista in video, rimanendo a migliaia di chilometri di distanza ma dialogando grazie a un buon programma di traduzione.
Io stesso, nel pomeriggio, ho parlato con un collezionista di Hong Kong e con uno studente di Cape Town che prepara la tesi sull’arte italiana contemporanea. E mi è diventato del tutto normale, aprendo il computer, leggere commenti, ipotesi di acquisto, frasi di saluto dall’Australia, dal Giappone, dagli Stati Uniti, oltre che dai Paesi d’Europa ovviamente”.