ROMA – Parole come oggetti – se troppo utilizzate si logorano, perdono di significato. Repressione, ad esempio, che vuol dire nel concreto? Cosa cambia dentro ognuno, come segna le comunità, quali amputazioni pretende, a chi giova.
Quanto fa paura la voglia di essere felici: a se stessi e agli altri. Il buio mortifica sensi individuali e ottunde sensibilità collettive. L’intelligenza cerca risposte, l’arte racconta.
Sulle società represse riflettono Claudio Caruselli (critico cinematografico), Marino d’Amore (sociologo), Danilo Moncada (psicoanalista)
La mia libertà finisce dove comincia la vostra: il celebre detto di Martin Luther King (anticipato da Kant) rimane base delle discussioni sugli assetti delle società moderne, riflette Marino d’Amore, docente di Sociologia generale, di Internet e social media e di Social network analysis all’Università Nicolo Cusano. Innanzitutto bisognerebbe ripensare il concetto di libertà, che in qualsiasi forma deve essere necessariamente calibrata sulla convivenza. Come diceva Herbert Marcuse, qualsiasi società è di per sé repressiva perché può sopravvivere solamente a condizione che i singoli controllino i loro istinti.
Oggi, i regimi militari e ordinamenti dittatoriali profondamente personalistici negano diritti evidenti: il classico percorso verso la repressione. Dovremmo forse distinguere se le limitazioni provengono da una ideologia politica o economica o religiosa?
Elargire una visione del mondo presentandola come l’unica possibile, è schema indifferentemente utilizzato da tutte le forme autoritarie fortemente strutturate e organizzate; la successiva adesione fideistica rende la narrazione più credibile e l’aggregazione aumenta. In passato, i dissidenti venivano neutralizzati con atti di violenza, declinata secondo vari gradi di intensità. Su violenze e paura si reggeva il colonialismo, per asservire nazioni intere culturalmente, storicamente, socialmente. Attualmente, la vessazione e prevaricazione fisica lasciano il posto alla paura; è soprattutto quest’ultima a prevenire eventuali insubordinazioni. Efficace deterrente di comportamenti e anche catalizzatore degli stessi, la paura consente di creare nemici finti, capri espiatori, di prendere decisioni impopolari quanto la guerra. E se per paura ti sei abituato a vivere in gabbia, non troverai più il coraggio di uscirne neppure se per ipotesi ti si presentasse l’occasione, perché quello è diventato il tuo habitat fisico, sociale, relazionale.
In quest’ottica, i mezzi di comunicazione di massa sono determinanti: se della varie posizioni una sola viene diffusa, questa sarà la più visibile e tutti finiranno per credere che sia l’unica, chi abbia opinioni diverse verrà ridotto al silenzio. In una società fondata sul pluralismo, ognuno ha il diritto di esporre le proprie idee e di essere eventualmente smentito.
La Rete consente a tutti di dire tutto
Internet è la più grande forma di libertà comunicativa e relazionale. Parallelamente il digital divide (divario digitale) crea, accentua, esaspera le disuguaglianze fra società dotate di strutture e strumenti in grado di utilizzare le nuove tecnologie e altre che, non disponendone, rimangono in stato di arretratezza o comunque escluse dal dibattito internazionale. In assenza di regole, di freni, la possibilità per tutti di esprimersi (ed eventualmente agire) finisce per essere inevitabilmente esercitata ai danni dei più deboli, con conseguenze altrettanto devastanti della repressione.
Di più: la stessa rete, fondamentale per l’organizzazione delle proteste contro i regimi autoritari, può, a volte, rivelarsi un obiettivo aiuto a salvaguardarli. Consentendo, infatti, di scappare in un’altra dimensione, di crearti un tuo mondo, ti rende in qualche modo più facile continuare a vivere nella tua detestata società; lo slancio della ribellione si attenuerà. In fondo, è il meccanismo per la diffusione di qualsiasi dipendenza: al momento in cui riesci a trovare un modo per evadere da una determinata realtà, l’urgenza di attenuarla si placa di molto (se non scompare).
Ci sono antidoti a tante devastazioni?
La cultura. La conoscenza, la consapevolezza, l’accettazione delle differenze, lo spirito critico, e anche una dose di sano scetticismo, ossia coltivare la cultura del dubbio e del confronto. Sempre.
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Sintesi e profondità.. Cosa di meglio?